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Welcome to New York

Regia di Abel Ferrara vedi scheda film

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La recensione su Welcome to New York

di lorebalda
7 stelle

 

The Wolf of Sex

È quantomeno curioso scoprire che negli ultimi sei mesi sono stati realizzati due film che affrontano lo stesso tema, la voracità del potere, da prospettive diverse ma con incredibili assonanze, ovvero The Wolf of Wall Street e Welcome to New York, rispettivamente di Martin Scorsese e Abel Ferrara. Il paragone è obbligato, eppure basta mezz'ora per per cogliere le profonde differenze fra i due film.



Uscito pochi giorni fa direttamente on demand, Welcome to New York, al contrario del film di Scorsese, sta dividendo la critica di mezzo mondo, è stato escluso all'ultimo dal concorso del Festival di Cannes, ed è stato pesantemente contestato, con querele e lettere di sdegno. Il motivo è evidente: tanto è sfavillante e trascinante, e irriconoscibile, il mondo grottesco di The Wolf of Wall Street, tanto è nero e disperato, e banalmente mostruoso, quello di Welcome to New York. E se i due film percorrono più o meno le stesse tappe narrative (gli eccessi, la caduta, la prigione, il faccia a faccia con le conseguenze), Ferrara guarda altrove (più lontano?) e, con un'incredibile intuizione, sceglie di non raccontare le vicende di Devereaux (Strauss-Kahn) nella forma di parabola moralistica. Lo dice anche Devereaux al proprio psicanalista: “Non voglio essere salvato. Nessuno vuole essere salvato”. Dunque, più che questioni politiche, Welcome to New York è un film che affronta di petto, e senza offrire soluzioni, il tema della crisi (individuale e di coppia), della responsabilità, del bisogno e dell'addiction, aspetti su cui Ferrara ragiona fin dagli esordi.


Leggo i critici italiani a Cannes (su tutti, Paolo Mereghetti: il film per lui è «orribile»), che rimpiangono i capolavori passati. Evidentemente, non hanno capito molto del cinema di Ferrara. Dopo 4:44 Last day on Earth, film vertiginoso sulla fine e sull'amore, film di salvezza e purificazione, sperimentale fino alla fine, fino alla dissolvenza in bianco che lo conclude (sì, in bianco, proprio Ferrara che, riprendendo le parole di Edoardo Bruno, ha fatto del nero la sua «cifra stilistica»), con Welcome to New York il regista italoamericano si ributta a capofitto nella disperazione, nei corpi sfatti (potenti e sgradevoli – ma non grottesche – le scene di sesso, filmate con «implacabilità warholiana», scrive Giulia D'Agnolo Vallan sul Manifesto), nel nero (fotografia di Ken Kelsh, abituale collaboratore di Ferrara) che nella prima parte soprattutto assorbe gli attori, il décor, la messa in scena.


E dovremmo parlare allora proprio degli attori, del lavoro sublime compiuto dal regista su Gérard Depardieu. Ogni grande film, diceva Godard, è anche un documentario sull'attore, e Ferrara, con invidiabile lucidità teorica, ha il coraggio di iniziare il suo film proprio con un'intervista a Depardieu, ad esplicitare fin da subito quel cortocircuito di finzione e realtà che investe Welcome to New York a tutti i livelli (è autobiografico? politico? racconta davvero lo scandalo Strauss-Kahn?), e che è un altro grandissimo tema del cinema di Ferrara, a partire dal capolavoro Dangerous Game. Ma si diceva di Depardieu: nel film l'attore è eccezionale, vorace nella prima parte, famelico, e un animale feroce in gabbia nella seconda, la più intensa e dialogata, la più dolente.


Un'altra differenza fra il film di Scorsese e quello di Ferrara è l'assenza in quest'ultimo di qualsivoglia intento didascalico: Welcome to New York è un film intenso e slabbrato, volutamente imperfetto, un film che fa affidamento nei momenti più potenti e toccanti all'improvvisazione (splendida Jacqueline Bisset), che abbatte i confini dei generi (il porno soft, il grottesco, il metacinema, il kammerspiel, il prison movie) e che nella terza e ultima parte cambia addirittura registro, e diventa dolorosissimo dramma da camera – dialogo a due e monologo, cinema urgente, confessionale, della crisi. Per questo, il film non piacerà: siamo lontanissimi dalla semplificazione e dalla piattezza linguistica che vanno tanto di moda altrove.


Dunque, nonostante alcune immagini rubate alla realtà, Welcome to New York si interessa poco o nulla alla vicenda di Strauss-Kahn, a cui chiaramente si ispira. Ma la realtà, per Ferrara, è sempre stata solo il punto di partenza per una riflessione più complessa e fors'anche confusa (penso a Mary), ma rischiosa e coraggiosissima: una riflessione sul senso e soprattutto sulle conseguenze delle nostre azioni. Per questo e per molto altro, Welcome to New York è un film morale, di devastante attualità, un film che nei momenti migliori ha il merito di riportare il regista alle altezze vertiginose di Bad Lieutenant e The Blackout.

 

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