Regia di Andy Wachowski, Lana Wachowski vedi scheda film
Gli ultimi due film dei Wachowski hanno avuto opinioni univoche nel pubblico (entrambi sono stati dei flop), spaccando però in due la critica.
Per chi scrive, “Cloud Atlas” (2012) è un film eccezionale. Ciononostante è innegabile che, dopo il capolavoro del 1999 che li ha resi famosi, i registi non siano più riusciti a riprendersi del tutto da una caduta iniziata non tanto con “Matrix Reloaded” e “Matrix Revolutions” (come alcuni sostengono), quanto con il disastroso e indifendibile “Speed Racer” (2008).
Era comunque forse lecito attendersi, dopo “Cloud Atlas”, una sorta di ritorno all’ispirazione degli esordi da parte dei due fratelli. E invece no.
Non mi si fraintenda, “Jupiter” non è un brutto film, ma nel complesso delude, non mantiene le promesse. Perché l’abilità dei Wachowski di stupire creando mondi, universi e dimensioni immaginarie strutturate nei minimi dettagli, è sempre stata innegabile, così come la loro capacità di dare l’anima al Blockbuster, di meravigliare chi guarda mescolando e rielaborando elementi solo in apparenza contrastanti generando opere seminali (appunto “Matrix”) o destrutturando audacemente la narrazione (la già citata loro sesta regia) fino al parossismo.
Di materiale rielaborato, in “Jupiter”, c’è solo il già visto. Che intrattiene, per carità, ma non emoziona mai sul serio.
Sembra che dopo il clamoroso flop del 2012 i due cineasti abbiano fatto un passo indietro, creando un prodotto studiato in primis per accontentare la massa: una pellicola che non stimoli riflessioni troppo ardite, che si preoccupi di non eccedere in durata, che non (si) ponga delle domande aprendosi a un minimo di lecita complessità.
Ben altro era l’audacia dimostrata con il loro precedente film, ben altri gli intenti, ben altri i livelli.
Perché per fare buon cinema ci vuole soprattutto coraggio.
Nel film in analisi rientrano comunque sequenze che lasciano a bocca aperta, come il lungo inseguimento che ha luogo a circa mezz’ora dall’inizio, o il finale altamente spettacolare, ma ci sono però anche dialoghi (in particolare certi scambi di battute tra Tatum e la Kunis) da fuga dall’uscita di sicurezza.
Si procede tra personaggi stereotipatissimi (l’antagonista, interpretato da Eddie Redmayne su tutti) e una sceneggiatura refrattaria all’innovatività e al coinvolgimento.
Un film piccolo piccolo, godibile se si vuole, eppure incapace di bucare lo schermo, di decollare; perché un intrattenimento senza autentico divertimento né commozione risulta per forza di cose povero.
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