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Apes Revolution: Il pianeta delle scimmie

Regia di Matt Reeves vedi scheda film

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La recensione su Apes Revolution: Il pianeta delle scimmie

di ROTOTOM
6 stelle

CESARE NON DEVE MORIRE

Sequel del primo episodio  ( L’alba del pianeta delle scimmie, 2011) antefatto de Il pianeta delle scimmie (1968).  Ovvero come il pianeta da terra dei cachi di eliana e storicamente tesa memoria divenne la terra delle banane passando per una cura per l’Alzheimer e un manipolo di primati da laboratorio divenuti, grazie al farmaco in sperimentazione, intelligenti e senzienti.  

Il protagonista, come nel primo episodio è Cesare uno scimpanzé dotato di carisma che guida una colonia di simili nei boschi dopo che il virus delle scimmie e la naturale tendenza dell’uomo all’autodistruzione hanno sterminato la popolazione mondiale.

Cesare non deve morire direbbero i Taviani, e Cesare non muore nonostante la shakespeariana esperienza che lo porta  a divenire da primate da laboratorio a condottiero che rivolta il suo popolo contro i suoi stessi – ignari e immemori – creatori.

Se cercavate l’anello mancante lo troverete qui. Andy Serkis, già Gollum e King Kong, qui interpreta una via di mezzo tra ciò che era e ciò che sarà. L’anello- tessssoro – di congiunzione tra la follia distruttiva umana contenuta a stento e la selvaggia purezza della razza mezzo gradino più sotto che ambisce ad un salto evolutivo che ne ratifichi la parità.

scena

Apes Revolution: Il pianeta delle scimmie (2014): scena

 

Ascesa e caduta di un re, caduto per mano dei suoi pretoriani e risorto per mano dei suoi nemici, una volta i suoi creatori. Cesare è l’Adamo della sua specie, un personaggio caro al Bardo, calato nella tragedia e nella grandezza del ruolo che aderisce perfettamente al proprio destino. Espressivo e  tormentato, saggio e tenebroso, dotato di una coscienza filosofica che lo inchioda alla responsabilità di guidare la sua gente ancora stordita dall’aver conquistato appena la consapevolezza del sé ed ancora preda di istinti selvaggi, Cesare è IL protagonista assoluto. Perno attorno al quale ruota tutto il film e che da solo sorregge l’impalcatura della storia senza che crolli sotto il peso di un’incredulità che spesso tende a solidificarsi e farsi macigno. Non a caso gli interpreti umani sono quasi del tutto anonimi o poco dotati di carisma (Jason Clarke, Keri Russel) se si eccettua la piccola parte di Gary Oldman che del resto le scimmie non le vede quasi mai, proprio per far risaltare la figura di Cesare come totemica, assoluta e quindi credibile.

 

Bene o male il tutto quindi funziona. Le storie parallele dei sopravvissuti umani e della colonia di scimmie si rispecchiano l’una nell’altra per condizione psicologica, reazioni emotive, aspettative di un’esistenza pacifica. Speculari anche nell’ inevitabile violenza che permea atavicamente due specie mai come in quel momento divenute così simili. Il bene e il male coabitano nelle società più o meno evolute e proprio l’evoluzione permette alla violenza di raffinarsi, di divenire crudele, sottile e ambigua.   

Resiste il sotto testo ecologico e una velata denuncia contro le persecuzioni umane nei confronti delle cavie da laboratorio proposte nel primo capitolo ma mai tanto esacerbate da turbare qualche animo. La storia così è un action pensante nel quale le scimmie parlano e insegnano a leggere e scrivere accelerando in un amen tutto il processo evolutivo che – non scordiamolo – porterà quell’universo distopico in embrione a quel pianeta delle scimmie nel quale Charlton Heston, uomo che cadde nel futuro, si ritrovava dopo un viaggio spaziale, rendendo leggenda il film di Franklin Schaffner nel 1968 poi  maldestralmente ricalcato da Tim Burton nel 2001.

 

Il film è molto lungo e alternato in momenti action a sospensioni narrative che servono ad approfondire i caratteri di tutti i personaggi, umani e non così da favorire un’immedesimazione di per sé non automatica.  La regia di Matt Reeves già autore di Cloverfield, è  solida, programmaticamente legata all’evoluzione della storia con alcuni guizzi di buon impatto ( l’attacco delle scimmie al fortino umano che si ispira al western). La necessità è quella di riportare la storia all’essenza dell’istinto di sopravvivenza intrinseco nella natura. Azione e reazione, in un mondo precipitato ad uno stadio primitivo l’adattabilità delle scimmie deve per forza fondersi con la conoscenza degli uomini, ma questo connubio costerà vite da entrambe le parti.

Se la scrittura dei personaggi è puntuale e la regia solida, ciò che manca è il coraggio di osare  in sceneggiatura,  adagiata su una semplicità così lineare da sfiorare l’automatismo. Ecco quindi che le vicende di Cesare e gli umani vengono diluite in una scansione degli eventi fanciullescamente prevedibile.

Questa purtroppo è la prerogativa di tutti i blockbuster  che costruiscono su un substrato di storie che potrebbe scrivere un bambino, impianti visivi di grande impatto spettacolare ma che sortiscono l’effetto  meraviglia di disneyland senza provocare nello spettatore turbamento alcuno. Nessuna domanda, nessun dubbio rimane dopo la visione del film. L’effetto straniante e ansiogeno del film originale del 1968 che pone l’uomo non più al vertice della scala evolutiva qui è rimosso dalla facilità con la quale gli eventi si sgranano nel più ripetitivo rosario del cinema commerciale americano. E questo è un peccato perché è quella condizione che avrebbe elevato un buon film ad ottimo, condizione evolutiva ancora non concepita dai produttori americani che preferiscono  considerare di gran lunga gli spettatori come scimmie da botteghino.  Visto mai quello che combinano le razze inferiori quando si evolvono.
Tutto torna in maniera autoconclusiva, quindi. A parte un finale sospeso che prelude ad un terzo capitolo che dovrebbe sancire la fine della razza umana nello scontro finale tra scimmie e società degli uomini. Altrimenti che prequel sarebbe?     
P.S. Ho qualche dubbio in merito. I blockbuster non gradiscono i  finali negativi. E questo per forza deve finire male. Per noi.

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