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Maps to the Stars

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Maps to the Stars

di kosmiktrigger23
8 stelle

Questo è a mio giudizio il miglior film di Cronenberg dopo la "ripulitura" visiva operata dal regista nel suo cinema a partire da eXistenZ del '99. Come molti film del regista, è leggibile a molti livelli.

Possiamo cominciare dal più evidente: una satira un po' biliosa del mondo hollywoodiano, in cui ragazzini divi si drogano, produttori se la spassano in orge e imbonitori new age lucrano sui disturbi mentali di star più o meno psicopatiche. Fin qui nulla di nuovo sotto il sole: del resto su Tinseltown e i suoi "bizzarri" stili di vita sono stati versati fiumi di inchiostro (e girati chilometri di pellicola), anche se rimangono insuperati i due volumi  dal titolo "Hollywood Babylonia" di Kenneth Anger, autore su cui torneremo.

Naturalmente può risultare divertente sentir nominati in una simile parata di nefandezze, anche solo a livello di semplice conversazione, Paul Thomas Anderson, Al Gore, Emma Watson e altri: allusioni che titillano lo spettatore facendo sì che immagini le sue star preferite implicate in vicende deliranti come quella narrata nel film.

Tuttavia, sarebbe riduttivo considerare Maps to the Stars una satira su Hollywood.

Un secondo livello di lettura ci conduce a un tema che abbiamo imparato a considerare come quello che maggiormente caratterizza il cinema del regista canadese: il corpo e le possibilita polimorfiche da esso offerte ad una sensibilità che trova nella manipolazione la sua forma di espressione più congeniale. Nel caso specifico del film in questione, il regista ci offre una visione piuttosto chiara (e per questo, forse, un po' didascalica) di un mondo cosmeticamente perfetto (tanto negli spazi quanto nei corpi che li abitano) all'interno del quale si introduce un corpo alternativo (la sfregiata Agatha), portatrice di istanze psicofisiche assolutamente inattese ma che rappresentano, come vedremo, la soluzione necessaria alla tensione sottesa alla perfezione che funge da crosta troppo fragile a vissuti più o meno traumatici. Da questo punto di vista Agatha è parente stretta dei molti personaggi ballardiani, a cominciare dal Vaughan di Crash, che nella loro apparente follia si rivelano essere delle avanguardie, dei profeti di un futuro in cui ciò che è traumatico nel nostro presente finirà per essere superato, goduto e risolto anche fino al limite dell'annullamento biologico (non dimentichiamoci, e qui apro una parentesi che si limita allo scrittore inglese, che anche per il Ballard post "Atrocity Exhibition", la esistenza biologica dell'uomo rimane un'eccezione in un universo sentito come essenzialmente minerale, come dimostrano i suoi romanzi apocalittici precedenti).

Arriviamo quindi alla tematica peculiare di questa pellicola: quella dell'incesto. Questo è molto interessante, per due motivi:  innanzitutto Cronenberg non sembra aver mai avuto un particolare interesse per questa questione, e poi in quanto questa tematica è ambiguamente sviluppata insieme ad un'altra che invece sappiamo essere una delle dimensioni più frequentate del postmoderno: quella della riflessività.

Infatti, come veniamo a scoprire nel corso del film, Agatha e suo fratello minore Benji sono il frutto di un incesto inconsapevole tra un fratello e una sorella separati alla nascita. Quando la bambina scopre attraverso la lettura di lettere e diari la terribile verità, dopo aver inscenato una cerimonia sulla quale torneremo, tenta di uccidersi insieme al fratellino dando fuoco alla casa.

Non sappiamo in che modo, ma il suo piano va a monte e  sette anni dopo  troviamo lei adolescente pazzerella di ritorno dal manicomio a LA per regolare la faccenda, e il fratellino sopravvissuto, teen idol arrogante, drogato e traumatizzato.

Ora, appare chiaro che qui Croneneberg (come fa affermare esplicitamente ad Agatha in una conversazione con il suo "amante Jerome Fontana, un autista di llimousine) strizza l'occhio ad un mondo mitologico. La generazione incestuosa tra fratelli è una caratteristica del mondo premorale del mito in moltissime cosmogonie. E che questo film in qualche modo alluda al mondo hollywoodiano come all'ultima incarnazione della capacità mitopoietica e magica dell'uomo - e qui non possiamo dire in che misura Cronenberg sia stato influenzato da Anger, l'autore che più di ogni altro ha sviluppato questa bizzarra e irrazionalistica interpretazione dell'industria cinematografica - è dimostrato anche da altre situazioni in qualche modo correlate al pensiero magico. Ad esempio, la contiguità del mondo dei defunti e dei vivi, e l'onnipotenza del pensiero. All'onnipotenza del pensiero fanno riferimento gli episodi in cui il desiderio dell'attrice Havana - personaggio su cui torneremo -  si materializza con la morte del piccolo figlio dell'interprete che le ha "rubato" una  parte per lei fondamentale, oppure quando il fantasma che perseguita il fratello minore di Agatha, Benji, gli gioca uno scherzetto di tipo fantasmatico, consentendogli, sotto l'influsso della sua potenza esterna (magica), di mettere in atto la sua volontà di uccidere il piccolo attore che gli stava rubando la parte nella sit com di cui è il protagonista. I morti appaiono ai vivi come personaggi ora favorevoli ora nemici, ma sempre in stretta relazione con i sentimenti più intimi di questi ultimi, oggettivandoli e dando loro modo di metterlimin atto.

Ma è sprattutto l'incesto a connettere il mondo terreno al mondo divino, e a rendere necessaria per la povera Agatha e il suo sventurato fratello una mappa per orientarsi tra le stelle di Hollywood ("ogni uomo, ogni donna è una stella" ammoniva Aleister Crowley). Patrimonio esclusivo di dei e sovrani, l'incesto (in-castum: non casto) è una delle demarcazioni più insuperabili tra sacro e profano, tra umano e divino, una delle interdizioni che secondo alcuni antropologi costituisce addirittura l'inizio della sessualità, imponendo la pratica esogamica. Tanto più è inconscio (it was a freak thing, spiega la madre a Agatha), tanto più è divino e "stellare",e tanto più sconvolge l'ordine umano. Di qui la perfetta coerenza del tentativo di Agatha di salvare dalla loro condizione mostruosa e disumana lei e suo fratello, condizione mostruosa testimoniata dalla capacità di comunicare e agire attraverso i morti (le apparizioni dei bambini di cui sopra, che si manifestavano, terrorizzandola anche ad Agatha bambina). Se è vero che un irrazionalista più convinto avrebbe incoraggiato i due ragazzetti a godersi la loro mostruosità e magari a diventare stregoni, nel film di Cronenberg la soluzione è più tragica. Agatha non riesce a escogitare un piano migliore che mettere in atto un rituale matrimonio tra lei e suo fratello, imbottirsi di pillole e lasciarsi morire. In questo modo l'inaccettabile viene messo in atto sotto forma di rituale e in qualche modo risolto. Ma perchè far morire i due sventurati, ripeto? Primo perchè Cronenberg è un inguaribile pessimista e nemico degli happy endings, secondo, perchè l'alternativa per loro sarebbe stata a quel punto solo quella di ripetere il destino maledetto dei loro genitori. Da bravi eroi tragici, cioè finalmente consapevoli, anelano alla libertà (come recita la poesia di Éluard che torna più volte durante il film a mo' di preghiera), e l'unica liberazione viene ad essere la morte.

Ma c'è un altra forma di perversione familiare che si lega a questa saga tragica californiana in modo solo apparentemente identico: ossia la storia che ha come protagonista l'attrice Havana Segrand, che finirà per essere uccisa - in una delle poche scene deboli del film - da Agatha, che era diventata la sua assistente personale (spassosa l'idea che a fungere da tramite tra Havana e Agatha sia l'ex reginetta stellare dello sballo, Carrie Fisher, in un divertente cameo). Egocentrica e psicotica, Havana vive nell'ossessione di sua madre, un ex starlette degli anni '70 morta accidentalmente in un incendio, e che gratifica la figlia di apparizioni più o meno orripilanti. Havana non fa mistero di aver subito ogni sorta di abuso sessuale da parte della madre, e quando viene a sapere che si sta preparando il remake di "Stolen Waters" - una sorta di melodramma manicomiale che aveva decretato la precoce fortuna della genitrice - si fa in quattro per ottenere la sua parte, cosa che avviene nel modo cui accennavamo sopra: il figlioletto dell'attrice designata al suo posto muore in circostanze misteriose e lei ottiene la parte.

Ora, io sono convinto di due cose: innanzitutto che la storia degli abusi subiti dalla madre sia completamente un'invenzione da parte di Havana (del resto il fantasma della madre, che è solo apparentemente identico a quello dei bambini, ma che è davvero solo un'allucinazione di Havana, glielo dice chiaramemte) e che la faccenda del remake dia una chiave interpretativa di tutto il film. Chiunque può notare che dal punto di vista narrativo, il meccanismo base di Maps to the Stars sia la ripetizione: la stessa poesia, lo stesso spot, lo stesso film, i soliti discorsi, etc.

Dal punto di vista del meccanismo artistico la capacità di generare nuovo senso ad ogni lettura è una delle caratteristiche peculiari dell'opera d'arte: il film lo dimostra facendo recitare da voci diverse la poesia Libertà, e rivelandone così la forza e la coerenza anche in un contesto improbabile come un film su Hollywood. Stiracchiando un po' la metafora, potremmo dire che la ripetizione può essere una sorta di "incesto" artistico virtuoso e funzionale.

Tuttavia, ed ecco il crimine di Havana che "merita" la punizione da parte dell'incestuosa "delusa" e sofferente Agatha, il mondo del cinema sembra aver perso la capacità di generare. Le sue immagini, i suoi comportamenti, le sua messa in atto in generale, sembra dirci Cronenberg, lungi dall'aver acquistato forza dalla continua riflessività della propria estetica, si sono indeboliti e banalizzati. Così Havana non è solo una figura schiava della madre, ma ne è la copia sbiadita, e il remake del film Stolen Waters altro non è che lo svilimento parodico e trash di quell'incesto materno (artistico) di cui lei, egocentricamente, si sente di avere diritto. Di qui il suo fallimento in confronto al gesto "sublime" di Agatha. 

 

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