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Maps to the Stars

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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La recensione su Maps to the Stars

di GoldenChain
8 stelle

Tra i salotti ovattati, i ricevimenti sfarzosi e le ville faraoniche dei divi dell’assolata Los Angeles serpeggiano miserie umane, vite abbruttite dall’opulenza e dall’eccesso pronte ad esplodere/implodere quando la miccia di qualche segreto inconfessabile, di un passato nascosto sotto il tappeto, infrange irrimediabilmente la cortina posticcia di un’illusoria felicità conquistata. Ancora una volta, il cinema di Cronenberg comunica attraverso il linguaggio dei corpi; già, perché forse, le piaghe (non tanto) invisibili dello sfavillante mondo delle celebrità si insinuano proprio nei corpi dei nostri personaggi. Si insinuano sotto i guantoni neri e le calze scure di Agatha (Mia Wasikowska) le cui ustioni suggellano l’orrore di una scoperta spiazzante, di una colpa indelebile alla quale Agatha tenta di porre rimedio “facendo ammenda”; parla anche il corpo di Havana (Julianne Moore) su cui già compaiono i segni dell’incedere del tempo; un corpo che, malgrado le deliranti sessioni di fisioterapia cui viene sottoposto, esprime impudentemente il disincanto, la rabbia, il disperato tentativo di tornare sotto i riflettori nel folle proposito di realizzare la rivalsa di tutta una vita: ottenere lo stesso ruolo ricoperto da una madre percepita come ostile e carnefice, nel remake di un famoso film; parla il corpo imberbe di Benjie (Evan Bird), un attore-bambino cresciuto troppo in fretta, lanciato nel tritacarne della celebrità e intontito dalle droghe, la cui vicenda si lega indissolubilmente a quella di Agatha; entrambi avvinti e, in modi diversi, fatalmente condizionati da una colpa, un errore imputabile ai due genitori : un terapista (John Cusack) che, paradossalmente, guida i grandi divi nel mettere insieme i cocci delle loro vite complicate, tenendo però assoluto riserbo sulla propria esistenza dissestata e su quella della consorte (Christina Weiss), una mamma-manager eternamente insoddisfatta. In questo groviglio di relazioni si trova invischiato anche l’autista Jerome (Robert Pattinson) che, con la propria limousine, percorre le strade sfolgoranti di Los Angeles e attraversa fisicamente, tappa per tappa, le “Maps to the Stars”. Il giro di vite tra le quali Cronenberg rintraccia impietosamente le aberrazioni prodotte dallo show-business, è tuttavia saldamente ancorato ad un costante anelito: la libertà; sono infatti proprio i versi di Paul Éluard a riecheggiare continuamente, quasi come un monito. Tuttavia, il desiderio di evasione, di fuga dai meccanismi perversi che governano il mondo patinato dei divi si scontra, al contempo, con la totale incapacità di allontanarsene veramente; il disperato tentativo di ritrovare la bussola culmina comunque con l’irreparabile auto-annientamento, con la totale negazione di sé. Nessuna regola di spicciola moralità è ammessa nell’umanità presentata da Cronenberg: ogni gesto dissimula, ogni volto indossa mille maschere, ogni reputazione si costruisce sulle fondamenta traballanti della finzione; nell’umanità presentata da Cronenberg persino l’annegamento di un bambino diventa felice opportunità di successo, persino uno scandalo familiare può risultare vantaggioso se ci si rivolge a Oprah. Un viaggio nella grande cloaca della luminosa California in cui il vagheggiamento del successo si scontra con la macchina disumana del lucro, della concorrenza spietata, della “Mors tua, vita mea”.

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