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Maps to the Stars

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Maps to the Stars

di maldoror
7 stelle

 

L'universo ballardiano sembra finalmente essersi (de)realizzato. Le stars di Hollywood non sono più quegli esseri semi-divini che ci apparivano una volta ingigantiti su uno schermo, non sono più quelle icone appartenenti ad una dimensione altra dalla realtà, quella dell'immaginario. Ormai fanno parte della nostra vita quotidiana, sono persone come noi, con le quali possiamo chattare, condividere emozioni e sentimenti, stringere amicizia. Tutto grazie a quel cortocircuito che si è venuto a creare tra reale e virtuale/immaginario, tra corpi e simulacri, prodotto dal dilagare del mondo virtuale dei mass-media che ormai pare esser diventato irrimediabilmente parte della nostra vita, contaminando e rischiando addirittura di mettere a repentaglio il nostro principio di realtà.

Come non ripensare agli scontri automobilistici tra Vaughn ed Elizabeth Taylor (parlo di "Crash" il romanzo), all'omicidio di J.F. Kennedy proiettato ripetutamente e ossessivamente in una sala cinematografica come un film pornografico fatto per stimolare le "radici non sessuali della sessualità" (dalla prefazione a "La mostra delle atrocità", scritta da William Burroughs), e in genere a quella contaminazione tra "interno" ed "esterno", tra cultura di massa (cinema, tv) e sistema nervoso individuale, su cui sono incentrati i primi romanzi di James Ballard?

"Maps to the stars" parla della morte del sogno hollywoodiano, si. Ma il sogno hollywoodiano non è morto certo perché si sia venuto a scoprire che dietro la vita delle stars ci sarebbero traumi rimossi, incesti, usi e abusi di droghe e psicofarmaci, adolescenti cresciuti troppo in fretta perché vittime di un sistema produttivo alienante e troppo grande per loro, come dice qualcuno: non è da Cronenberg fare della sociologia spicciola di questo tipo. Il sogno hollywoodiano è morto perché la società è andata incontro a quella de-sublimazione provocata dalla società massificata e consumistica e già in atto ai tempi di Marcuse & co. E questa stessa realtà si è poi convertita in immagini, quelle immagini scadenti e dozzinali che ci permette oggi di realizzare e diffondere a livello mondiale la tecnologia a portata di mano (cellulari, Ipad, internet e così via). In una società del genere, in cui il sentimento si è de-sublimato in sesso e il sesso in pornografia, non c'è più spazio per la magia e per il sogno, nessun tipo di sogno. Ecco perché il film non parla solo della morte del sogno hollywoodiano, ma del sogno in generale. La finzione cinematografica non è più possibile perché è la realtà stessa ad essersi "virtualizzata"; il sogno non è più possibile perché non è più possibile sfuggire all'universo pornografico della realtà de-sublimata. Oggi le attrici di Hollywood spetezzano sedute sul water mentre parlano tranquillamente con una ragazzetta qualunque conosciuta per caso. I fantasmi si mescolano tranquillamente con le persone vive(?), sia quelli veri che quelli immaginari, in un guazzabuglio di realtà, allucinazione, sovrannaturale, video digitali.

A minacciare il precario equilibrio di questo universo mentale e smaterializzato, dominato dal terrore del corpo, è ovviamente il ritorno del rimosso, che guarda caso è strettamente legato al corpo e alle sue deformazioni e/o deviazioni: la ragazza ustionata che fa riaffiorare episodi di incesto; o un altro fantasma ancora, quello della madre di Julianne Moore, anche lei morta in un incendio, e anche lei legata a vicende di abusi sessuali.

 

Insomma,  dopo "A history of violence" e "La promessa dell'assassino", Cronenberg pare essere tornato al cuore della sua poetica. Il suo stile sempre più asciutto e anonimo,è perfettamente funzionale al mondo e ai personaggi che vuole raccontare, alla sua visione del cinema oggi. Qualcuno ne lamenta la banalità e la scarsa comunicatività, ma già nei primi anni Novanta il regista disse di volersi avvicinare ad uno stile che fosse il più semplice e diretto possibile, "come quello di Bresson", e di voler girare, come lui, "un intero film solo col 50mm", affinché i personaggi fossero sempre inquadrati all'interno di uno spazio, senza predominare su esso.

 

Non il miglior Cronenberg, ma francamente, dopo la (a mio avviso) pacchianeria e il manierismo di "A Dangerous method" e "Cosmopolis", mi sarei aspettato di peggio.

 

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