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Maps to the Stars

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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La recensione su Maps to the Stars

di NOODLES98
8 stelle

Quando la storia narrata nella sceneggiatura di Bruce Wagner sembra imboccare una strada sicura, canonica, se non già vista, una parabola sulla Hollywood corrotta e distrutta dalle stesse stelle (cadenti) che la compongono, entra in scena Cronenberg, che, come tutti sanno, proviene dall'horror più puro e disturbante, che ha anche innovato, e ci introduce a una storia di fantasmi celati come scheletri nell'armadio, sovrannaturale e normalità che si miscelano come soltanto la Settima Arte può fare e inculca allo spettatore un senso di malessere costante e perpetuo, crescente e distruttivo, ma, nonostante tutto, calmo. Perché, anche quando si raggiunge l'apice del climax, quando la violenza entra in gioco (e in primo piano), e tutto potrebbe essere sovraeccitato, incalzante e veloce, la pellicola rallenta ancor di più, insieme alla regia, sempre pacata e, in questo modo, inesorabile. Proprio qui sta la grandezza di Cronenberg (e anche la sua morbosità): nel mostrarci cose terrificanti (incesti, omicidi (anche di animali), tentati infanticidi, tossicodipendenza giovanile) senza veli, ma anche senza compiacimento. Certamente il disfacimento Hollywoodiano è uno dei temi, ma non quello principale che è, ancora una volta, la mutazione. Emblematica, in questo senso, la scena del confronto tra due delle anime inquiete e inquietanti di questa galleria degli orrori, quella tra Mia Wasikowska e Julianne Moore: il corpo della prima, sfigurata in volto da un incendio da lei stesso appiccato e per questo unico personaggio (quasi) positivo dell'opera, comincia a disfarsi, a sanguinare, a puzzare: è l'inizio della fine, l'apice dello scontro tra due donne che si distruggono a vicenda per motivi personali. Infatti nessuna delle due ha davvero rancore verso l'altra, ma entrambe, distrutte da personali sventure, si sfogano una verso l'altra. Così la trama va vanti tra improbabili colpi di scena e screzi familiari irrisolti e irrisolvibili, se non con la morte. Morte tragica e poetica, nel verso senso della parola: si recitano i versi di "Libertà" di Paul Eluard, e, ironicamente, la libertà è raggiunta nella lenta carrellata finale. A dir del vero, la storia è piena di svolte degne di una soap opera, all'apparenza, ma molte volte c'è qualcosa di più. Wagner ha scritto la sceneggiatura ispirandosi anche da memorie autobiografiche, e qui si arriva alla satira contro la fabbrica dei sogni. L'incesto è tema portante nella storia. Non soltanto quello compiuto e concreto involontariamente dai due genitori interpretati da Olivia Williams (sempre nervosa, anche se si rivelerà migliore del coniuge, fuma sigarette) e John Cusack (sempre calmo, come una bomba pronta ad esplodere, fuma sigarette elettroniche), ma anche quello molto più morboso e astratto attuato da Julianne Moore (sublime e meritatissimo premio a Cannes), il personaggio più spregevole di tutta la pellicola: lei, ossessionata dalla madre, si ritroverà ad esultare per la morte di un bambino per aver ottenuto la stessa parte che portò alla madre (un'inquietante Sarah Gadon) l'Oscar. Il ciclo è chiuso. Film enigmatico, semplice solo su carta, ma a tratti quasi indecifrabile (sopratutto il finale), Maps To The Stars (la mappa delle stelle che segue la Wasikowska o la mappa PER le stelle con la quale i due fratelli se ne vanno da questo mondo?) ritrae la pazzia (neanche i tredicenni si salvano, finendo per uccidere animali da compagnia) dell'individuo e dell'intera società moderna e come la sua mutazione porti nuovamente sventura e morte (come il cancro al cervello di Videodrome o il virus de Il Demone Sotto La Pelle). La speranza è morta, completamente. E le note di Na Na Na (Kiss Him Goodbye) come canto funebre a una bambino di dieci anni lo spiegano schiettamente.

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