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Robin Hood principe dei ladri

Regia di Kevin Reynolds vedi scheda film

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La recensione su Robin Hood principe dei ladri

di scandoniano
3 stelle

Tentativo di modernizzare il mito inglese per antonomasia, finendo per ridurre il tutto a una versione che se si fosse chiamato “Robin Hood principe dei sindacalisti” non avrebbe fatto una grinza. Cameo fulminante di Sean Connery e talentuosa interpretazione di Alan Rickman, l’unico che dimostra di non volerci stare alla mediocrità dell'operazione.

 

Grandissimo successo di pubblico per uno dei film più rappresentativi degli anni ’90. Ma come spesso accade, il sentimento non è confermato dalla critica. E non potrebbe essere altrimenti. In particolare per una messa in scena fasulla, approssimativa, una monotonia nell’andamento, duelli sincopati, ingaggiati col pilota automatico, ed un cast poco ispirato. Quest’ultimo è inoltre stranamente assortito: come protagonista è ingaggiato il divo (seppur in altri generi) Kevin Costner, il suo braccio destro è Morgan Freeman – principe nero che rivendica la sua diversità anche quando non occorerebbe, mentre gli altri del cast sono poco più che mestieranti, praticamente quasi tutti mediocri nell’interpretazione (a cominciare dalla asfittica Mary Elizabeth Mastrantonio (Lady Marian). È il solo Sean Connery a cavarsela di mestiere, ma le sue pose sono poche – oltre che costosissime, mentre chi fa la figura migliore è Alan Rickman (chissà quanto aiutato dal sangue britannico), nonostante la caratterizzazione del suo personaggio sia quella più balzana: il suo è uno sceriffo di Nottingham sopra le righe, la cui crudeltà non appare mai credibile fino in fondo.

 

 

Più in generale delude la sceneggiatura, che impone una rivisitazione un po’ troppo liberal e progressista di temi classici, già conosciuti, che non avrebbe guastato fossero rimasti così come li conoscevamo. Invece il protagonista belloccio, intellettuale e politically correct ci appare troppo distante dalla figura classica che abbiamo imparato a conoscere in film, senza scomodare il capolavoro di Michael Curtiz del 1938, come “Robin e Marian” del 1976 o soprattutto nella versione con Douglas Fairbanks a firma Allan Dwan del 1922. Se questo è il modo di ristrutturare un mito, allora meglio la versione cartoon della Disney affidata a Wolfgang Reithman: quanto meno qualcosa di atipico ce lo si attendeva fin dalle premesse. Qui invece siamo difronte ad una delusione, perché un film d’evasione, d’avventura, di cappa e spada, che si prende così sul serio non può realmente cogliere nel segno. Quasi peggio del contemporaneo “Robin Hood – La leggenda”, suicida fin dalle premesse.

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