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Birdman

Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film

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La recensione su Birdman

di amandagriss
9 stelle

"la popolarità è la cuginetta zoccola del prestigio"

 

Il teatro al cinema.

E il cinema a teatro.

 

Come adattare anche stavolta, al quinto film, la forma al contenuto?

Nei lavori precedenti il regista messicano ha destrutturato il racconto per poi lasciare che un perfetto meccanismo ad incastro finisse per assemblare i vari frammenti del discorso (di più discorsi inizialmente slegati) e farli coincidere tutti, in un solo luogo e un solo istante -un incontro/scontro col destino- . Successivamente, ha ritenuto opportuno utilizzare una narrazione lineare, priva di salti temporali, perché la più adatta ad illustrare il progressivo degenerativo percorso che separa, per il tempo che resta, la vita dalla morte, e adesso, per ultimo, sceglie di far parlare la sua nuova storia attraverso un unico (almeno in apparenza) piano sequenza.

Affinché questo espediente formale possa ‘comportarsi’ come un grande atto unico (con l'ausilio di alcuni accorgimenti visivi, semplici ed efficaci, a scandire il tempo che passa e a fare da raccordo per restituire la percezione di una sola ripresa lunga quanto il film) e seguire, tallonandoli, gli attori che lo interpretano, stargli letteralmente addosso e non perderli di vista per l’intera durata della rappresentazione.

Così, la scelta del piano sequenza (mobile e a camera fissa) è la gustosa intuizione di un film che guarda, nei contenuti, al teatro -e nasce e si sviluppa in un teatro- ma conserva intatta, nella forma, la sua forte identità di cinema.

 

 

Birdman è la storia di un attore sul viale del tramonto, o meglio di una particolare tipologia che affolla gli studios americani, colui che conosce il grande successo (fama e soldi) incarnando un supereroe, come tanti ne sforna l’hollywoodiano firmamento in carta pesta e lampadine a led, per rimanere appiccicato a vita a quel dannato personaggio che ha fatto la sua fortuna, certo, ma anche la sua sfortuna.

Lui, "celebrità" di un ruolo soltanto, è incastrato dalla potenza dell’immaginario comune, che lo identifica esclusivamente con l’uomo-uccello dei tempi andati.

 

 

 

Ma Birdman a 60 anni suonati (oggi considerati, non a torto, i nuovi 30 anni) decide di svoltare, di liberarsi una volta per tutte da quella maschera(ta) che gli sta stretta, di darsi una (l’unica) possibilità per riscattarsi. È così radicata in lui da divenire una sorta di voce della coscienza, un grillo parlante dalla cinica logica e dallo spietato ma autentico senso della realtà. Ma Birdman, l’eroe di cartone, vuol dimostrare di essere un vero attore e non soltanto un pennuto in calzamaglia.

Vuol cambiare pelle (anzi piumaggio) e mettersi in gioco. Vuole stupirsi e stupire.

Per questo, vola dall’assolata California alla fredda e intellettuale, europea New York, patria dei grandi artisti, scrittori attori e musicisti, e allestisce il suo spettacolo -l’adattamento di un vecchio testo teatrale scritto diretto e dallo stesso interpretato- nella mitica Broadway.

Con al seguito altri 3 teatranti e gli umori di una vita intera divisa tra ciò che succede sotto i riflettori e i rumori fuori scena: le luci della ribalta di un mai sbiadito sogno fanciullo, il disincanto e l’amarezza a farsi largo con gli anni che si accumulano, un velo di tristezza ad oscurare i sorrisi bianchi, la disillusione, la speranza ridimensionata, e naturalmente le manìe e il ‘metodo’ che contraddistinguono gli artisti, il loro ego da coccolare, la loro vanità da nutrire.

Tra allestimenti, prove ed anteprime (ognuna ‘funestata’ da un evento bizzarro) il teatro finisce per confermarsi l’unica vera dura scuola per ogni vero grande attore. E il nostro Birdman riesce a destreggiarsi dignitosamente tra le imprevedibili incognite che una recita senza ciack, montaggio ed effetti speciali fornisce. Quasi protetto dalla fortuna del dilettante o dall’“imprevedibile virtù dell’ignoranza”, come direbbe il critico più acerrimo, agguerrito e maldisposto -a prescindere- verso quei pagliacci di latta sfornati con lo stampino, a ripetizione, dall’industria senz'anima del cinema.

 

Birdman è un film singolare e affascinante, forte di un buon testo scritto capace di mescolare nelle giuste dosi il dolce e l’amaro della vita, che incolla lo sguardo allo schermo servendosi di elettrizzanti piani sequenza dallo straripante magnetismo, arricchiti di inserti (visivi) a metà tra l’ironico e l’immaginifico. E l’universo narrativo, per un momento lungo un attimo, magicamente s’infrange per riempirsi di quello che solitamente resta fuori, e incarnarsi in un musicista di strada o una banda che suona a festa.

La mdp si posa sui volti degli attori, si insinua nelle rughe delle loro molteplici espressioni -di dolore, gioia, rabbia, estasi- irrompe prepotente nel quotidiano vissuto tutto dentro uno dei tanti e un po’ logori teatri della city;

si muove agile e sinuosa, totalmente a suo agio tra labirintici budelli e minuscoli camerini rimpinzati fino all’orlo;

segue come l’ombra i suoi uomini per raggiungerli dritti in palcoscenico, rimanendo sempre (come una finta soggettiva) dalla parte degli attori e con lo sguardo rivolto al pubblico in platea, seduto al buio e in religioso silenzio.

 

 

 

E il martello di suadenti percussioni per mano di una spumeggiante batteria jazz, a punteggiare il ritmo concitato e i terreni affanni, completano la meraviglia.

Solo quando il nostro Birdman si libra nell’aria al di sopra della gente e delle auto in strada, al di sopra e tra i palazzi assaporando l’ebbrezza dell’esistenza, anelando forse al proprio equilibrio interiore nel rutilante caos in cui incessante si muove, la cassa i rullanti e i piatti lasciano il posto alla melodia.

E il tempo si dilata e tutto diventa possibile.

 

 

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