Regia di Diego Quemada-Diez vedi scheda film
Film che affronta il problema dell'immigrazione illegale dall'America Centrale verso gli USA con un tono simil-documentaristico che non convince appieno. Resta comunque un lavoro interessante per avvicinarsi allo scottante tema trattato.
Ho vissuto e lavorato in Honduras a cavallo fra il 2010 e il 2011. Da qui il mio interesse per tutte quelle opere che toccano da vicino l'attualità dell'America Centrale, e il problema dei 'mojados' in particolare. “La gabbia dorata” riprende molto da vicino temi trattati in un altra piccola produzione indipendente intitolata “Sin nombre”, anno 2009: la fuga dalla miseria ma ancor più dalla violenza di Honduras, Guatemala o Salvador verso la terra promessa dei John Wayne e dei Barack Obama. Ma tra il punto di partenza e quello di arrivo si estendono quasi quattromila chilometri di territorio messicano con tutti i suoi ostacoli logistici, legali (la polizia di frontiera finanziata dagli USA) e illegali (le 'maras', spietate bande armate organizzate). Ed è questo ciò che ci racconta lo Spagnolo Diego Quemada Diaz nel suo lungometraggio d'esordio. A me il registro simil-documentaristico scelto non mi ha convinto appieno (così come, curiosamente, in “Sin nombre” era stato proprio l'eccesso di drammatizzazione a lasciarmi freddino), ma nel complesso è un film certamente da vedere, soprattutto per farsi un'idea dell'inferno sopracitato.
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