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American Hustle - L'apparenza inganna

Regia di David O. Russell vedi scheda film

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La recensione su American Hustle - L'apparenza inganna

di FilmTv Rivista
8 stelle

Irving Rosenfeld è tutto un inganno. I capelli sono lunghi, ma finti. Ha un figlio, ma non è suo. Una moglie, che non ha mai amato. Un lavoro, che non è quello che sembra. Piccolo truffatore per vocazione (pronunciando “hustle” viene in mente “asshole”) inganna i disperati promettendo loro una rendita di 50 mila dollari su un investimento iniziale di 5.000. Assieme a Irving c’è Sydney Prosser, calamità erotica con altrettante contraddizioni. «Fanculo Nixon, il deficit, la guerra e tutto il resto»: piccole bolle economiche crescono, fino a quando l’agente FBI Di Maso scoperchia il gioco e mette alle strette la coppia, costringendola a collaborare per incastrare i pesci grossi. «Chi è l’artista, Il pittore o il falsario?».

Su questa domanda David O. Russell costruisce una narrazione a piramide verticale, risalendo i gangli della mafia mentre orizzontalmente si intrecciano eros (triangolo Rosenfeld /Prosser/Di Maso) e denaro, in un continuo gioco di mascheramenti alimentato da personaggi complessi e tormentati, (ri)scritti in stato di grazia a partire dalle pagine di Il re della truffa di Robert W. Greene. L’attenzione alle radici della malavita - filmata nei flashback di Irving - e una certa affezione nostalgica verso personaggi che ne hanno ereditato lo spirito “familiare” non possono non far pensare a Scorsese e alle sue grandi narrazioni criminali. Jeremy Renner, poi, è (ac)conciato come Joe Pesci e sua scorsesità De Niro compare in un cameo nei panni del boss di Miami Victor Tellegio: troppi indizi per non avere una prova. Al di là dei debiti, però, Russell gestisce con maestria le molteplici sottigliezze caratteriali dei suoi personaggi, elaborando un dedalo inestricabile di ricatti e usi impropri di amore, fiducia, paternità e maternità. Pur possedendo un quartetto base di interpreti eccezionale, riesce a incanalare il loro istrionismo grottesco senza che questo fagociti l’intera messa in scena come era accaduto nel precedente Il lato positivo, permettendo così la piena valorizzazione del côté retrò (costumi, arredi e acconciature) e di una colonna da urlo, che spazia da Duke Ellington agli America, da Elton John ai Led Zeppelin fino a Paul McCartney & Wings. American Hustle è un piccolo grande film, nel quale la regia si tiene sempre a debita distanza dal proscenio per evitare ridondanze che somiglierebbero pericolosamente a insicurezze. Un segnale di maturità per un autore che migliora titolo dopo titolo, dialogando con i maestri per sviluppare una propria cifra distintiva.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 53 del 2013

Autore: Claudio Bartolini

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