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Grand Budapest Hotel

Regia di Wes Anderson vedi scheda film

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La recensione su Grand Budapest Hotel

di Utente rimosso (Cantagallo)
7 stelle

Nel fantastico mondo di Wes Anderson non si entra dalla porta principale, quella grande con la scritta "porta", si entra invece dall'anonima porticina laterale, quella che non avreammo neanche notato se non si fosse provvidenzialmente aperta al momento giusto offrendoci una possibilità di ingresso.


Coi suoi occhi di eterno ragazzo sempre sulle tracce del passato, guidato dal gusto ricercato e bizzarro di un collezionista, in Grand Budapest HotelAnderson rianima gli anni '30 di una romanzesca mitteleuropa che si attarda a celebrare i suoi riti vacanzieri presso un lussuoso resort (come diremmo oggi) abbarbicato su montagne che erano state fino alla guerra precedente austroungariche e che già assistevano alle avvisaglie del conflitto successivo. I riferimenti alla realtà storica sono inequivocabili ma fantasiosamente dissimulati in favore di un registro ludico, anche se con qualche accento macabro, cosicchè la vicenda del direttore dell'hotel M. Gustave, ingiustamente accusato di omicidio, prende vita in un universo ferromodellistico, in un libro pop-up aprendo le cui pagine scenari di cartone piegato si erigono in 3D, con personaggi sistemati in microspazi geometrici come fossero piccole rarità in una bacheca.


Un supercast di attori famosi sarebbe potuto risultare sprecato in un altro contesto, ma in questo caso si intuisce che tutti hanno lavorato con lo spirito giusto, e cioè quello di partecipare ad un gioco di ruolo governato da un master di rango. Tante le citazioni e i richiami a film famosi - che vi divertirete a riconoscere come un gioco nel film - disseminati lungo una storia che evidentemente non è il punto di partenza del lavoro di Anderson, pur essendo essa stessa un omaggio al romanzo giallo dell'epoca (non a caso uno dei personaggi del film si chiama Agatha...), storia che dopo un avvio soprattutto descrittivo, che non sfugge a qualche indugio, prende un ottimo ritmo nella seconda parte.


Wes Anderson si dimostra pienamente a suo agio e felicemente creativo: colori ipersaturi e inquadrature stralunate come fossero deformate dallo spioncino di un portone, fughe attraverso cunicoli e montacarichi portavivande, trasbordi tra funivie ad alta quota e, non ultima, la collezione votiva di chiavi di stanza d'albergo (a proposito: quelle altere, solenni chiavi con il pendaglio numerato di metallo pesante, oggi sono state ormai completamente sostituite - ahimè - dalle schede magnetiche...). Il risultato è un film ricco e spassoso ma non totalmente avulso dalla realtà, che raggiunge un buon equilibrio tra intenzioni e risultato e con il grande merito di esercitare in modo intelligente e colto una facoltà preziosa: l'immaginazione.

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