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Big Bad Wolves

Regia di Aharon Keshales, Navot Papushado vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Big Bad Wolves

di logos
6 stelle

Un film che pretende di essere un vero e proprio capolavoro, capace com’è di attraversare più stili, da Tarantino ai Coen passando per Woody Allen.

La trama, certo, non è completa, sembra quasi piovere dal cielo: un pedofilo serial killer abusa delle bambine e le uccide, non si sa bene come ma tutti i sospetti si concentrano su un insegnante di religione, Dror, che viene brutalmente picchiato dal detective Micki; il pestaggio viene lanciato sulla rete, dalle riprese di un ragazzino, con il conseguente disonore della polizia locale, per cui il detective da una parte è costretto a lasciare il caso, mentre l’insegnante, dall'altra, viene licenziato. Il corpo della bambina viene inoltre ritrovato senza testa, e il padre di lei, un uomo molto potete perché amico con il capo della polizia, decide di fare giustizia da sé. Seguendo le orme dell’insegnante il padre si imbatte con l’ex detective; dopo qualche chiarimento decidono di essere complici nel torturare Dror, il quale alla fine diventa sempre più una vittima sacrificale, al punto che Micki decide di lasciar perdere ma il padre della bambina, ormai quasi al limite della follia, decide di continuare la tortura, e come se non bastasse si unisce anche il padre e nonno della bambina morta, fino ad uccidere l’insegnante; e poi il film continua con altre bizzarrie… Il detective riesce a liberarsi, viene a sapere che sua figlia nel frattempo è scomparsa, mentre l’ultima scena scorre sugli interni della casa di Dror, e proprio alla fine si nota che in una stanza, ben nascosta, dimora la bambina sedata all’insaputa di tutti.

 

Il film non manca di divertire, soprattutto per i dialoghi che si vengono a creare, per le atmosfere che vanno dal noir al grottesco, con livelli surreali decisamente interessanti. Gli attori sono eccellenti e la regia non fa una piega passando dai vari stili, fino a quello più crudo e grottesco della tortura.

Quello che non funziona è la trama. Il pedofilo, ma guarda caso, è un insegnante, in più, ma guarda caso, un insegnante di religione. Perché è pedofilo? Perché gli piacciono le bambine (risposata corretta, ma meritava un maggiore approfondimento). Il film è pieno di indizi molto didattici per comprendere che il colpevole sia effettivamente l’insegnante. Non è un colpo d’effetto ben riuscito, dire soltanto alla fine una cosa che lo spettatore attento poteva già sapere. Poi c’è l’arabo palestinese, che ogni tanto compare, placido con il suo cavallo. Se qui il film voleva essere una specie di indiretto messaggio contro la poltica dello Stato di Israele, o meglio del suo governo, beh ha usato i guanti di velluto. Infatti l’arabo a cavallo nella sua placidità rappresenta l’inerzia paternalisticamente esaltata di fronte alla follia dilagante ( ma si ricordi che Hegel diceva che è molto più profonda, anche in senso morale,  la violenza in quanto espressione della spirito piuttosto che la bellezza muta della natura, e l'arabo sembra essere destinato alla stessa sorte mentre di violenza è pieno il film e non sempre in modo davvero ficcante). Gli spunti restano comunque interessanti, il film scena per scena è godibile, ma la sceneggiatura è senza direzione, con abbozzi frettolosi.

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