Regia di François Ozon vedi scheda film
I tocchi registici di qualità di Ozon vi sono tutti: dall'ultilizzo dei colori (il rosso delle labbra di Isabelle che si confonde nel rosso delle pareti dell'albergo dedicato agli appuntamenti), degli specchi (l'immagine della jeune et jolie duplicata costantemente nei bivi della storia, e addirittura triplicata sulle scale della metropolitana durante lo snodo centrale del film), delle luci (l'ombra oblunga della mano del fratello che che accarezza il seno di Isabelle, omaggio a Murnau) e dei movimenti di macchina (carrellate avanti e indietro a sottolineare le indecisioni e la confusione della protagonista diciassettenne). Se passiamo sulle deliziose forme della splendida Marine Vacht (che, in un'epoca di completo sdoganamento della nudità cinematografica, si ricordano nostro malgrado solo fino al film successivo), la narrazione risulta invece di una banalità sconcertante. L'incedere delle stagioni utilizzato come parallelo per la maturazione sessuale di Isabelle, personaggi di supporto tanto stilizzati da risultare assenti, e una trama principale (trasgressione-scottatura-normalizzazione) vista e rivista, con finale aperto e ambiguo sul futuro, come piace a tradizione europea. A questo scheletro narrativo purtroppo Ozon non riesce ad aggiungere nulla, nè un'esplorazione antropologica del tema trattato, nè una trattazione meno che superficiale dell'ordalia di Isabelle. La scena sul ponte dei lucchetti d'amore (che allo spettatore italiano ricorderà irresistibilmente Tre metri sopra al cielo), e la comparsata finale - funzionalmente del tutto superflua - di Charlotte Rampling, aggiungono due tocchi di patetico che affondano definitivamente il buono che pure nel film si riesce a trovare. Peccato.
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