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The Green Inferno

Regia di Eli Roth vedi scheda film

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La recensione su The Green Inferno

di maghella
8 stelle

 

Finalmente una promessa mantenuta. Eli Roth non ha deluso le mie aspettative, e devo essere sincera: ero molto ma molto preoccupata. Come lo sono sempre in questi casi, quando si fa tanta propaganda prima dell'uscita del film sul “citare un genere italiano molto in voga negli anni '70”. Sia chiaro per tutti, soprattutto per i molti cinefili che solo da qualche settimana si sono cimentati sul genere “Cannibalico” italiano, giusto per poter scrivere una recensione su “Green Inferno” esaudiente: il genere Cannibal italiano è stato snobbato dai più per almeno quarant'anni. Gli stessi addetti ai lavori non ne hanno mai parlato benissimo, sempre come film “da poco”, fatti con budget poverissimi e rimediati.

Film “poveri” ma ricavati da soggetti originali, che esulavano da quelle che erano le storie in voga a quel tempo. Ruggero Deodato e Umberto Lenzi si possono definire i padri di questo tipo di cinema, al quale hanno dedicato gran parte delle loro carriere, in alcuni casi compromesse anche da vicende giudiziarie legate alla lavorazione del film, o per l'utilizzo di metodi non del tutto corretti o al limite della legalità. All'epoca lo splatter era ancora ai suoi albori, e gli italiani sono stati i precursori per gli effetti speciali, rimasti indiscussi maestri per come sapevano ottenere il massimo con i mezzi più modesti. Frattaglie, conigli trasformati in feti sbranati, scene erotiche che venivano poi utilizzate per altri filmetti pornografici o quasi, soggetti maschilisti o comunque molto scorretti nelle tematiche sociali. Assolutamente politici, come lo sanno essere i buoni horror.

Mentre su altri schermi primeggiavano ancora i vecchi Conti Dracula della Hammer, o gli Zombie di Romero e Fulci, alcuni registi italiani stavano dando vita a un nuovo modo di fare horror utilizzano la selvaggia ferocia di indigeni di foreste vergini e inospitali, spietati e assolutamente affamati, per nulla indifesi.

Ed è proprio questo l'aspetto al quale si ispira Eli Roth, che non cita sfacciatamente le scene famose dei titoli più cult (come avrebbe potuto fare un Tarantino degli anni d'oro e meno d'oro), ma tende a riportare sugli schermi di oggi quello che era lo spirito pioniere dei nostri registi nostrani.

Non è un gruppo di giovani scanzonati in vacanza il protagonista del film, anzi... i ragazzi in questione sono universitari impegnati politicamente e socialmente, che decidono di andare nel cuore della foresta peruviana, per legarsi con catene a degli alberi e impedire ad una grossa multinazionale di procedere con la deforestazione e l'eliminazione di una antichissima tribù indigena.

Ma i sogni di gloria dei giovani verranno presto delusi. Durante il rientro a casa l'aereo precipita e si troveranno così a far conoscenza con i diretti interessati che erano andati a salvare.

La prima parte del film è costruita in maniera tale da non avere dubbi sulle psicologie dei personaggi, così che nella seconda parte non ci sono sorprese su cosa ci si deve aspettare. Anche perché la mattanza comincia proprio da quello più simpatico, il più buono, il più tenero....il più grasso. E' proprio il “primo pasto” che mi sconvolge di più. Roth non fa sconti allo spettatore, e proprio come ad un invito a cena, ci mostra la pietanza migliore. L'amico prescelto viene mangiato vivo (letteralmente mangiato vivo), salato e cucinato, lasciando i bocconi prelibati per la sciamana.

Ovviamente tutto ricostruito in maniera attenta: villaggio, selvaggi, colori. Tutto quello che viene dopo al primo pasto è una naturale conseguenza all'orrore e alla ferocia che ci si aspetta. Infibulazione, scotennamenti, formiche giganti, teste impalate e quant'altro. Tutto in abbondanza proprio come una gran festa per gli appassionati, non facendosi mancare qualche scena grottesca e quasi ridicola, come si conviene a certi film. Ripeto: come si conviene a certi tipi ti film. Quelli che hanno il palato fine, molto probabilmente non hanno mai visto “Cannibal Holocaust”, “Cannibal Ferox”, “Antropophagus”... in cui scene deliranti ed eccessive erano il vero obiettivo per la riuscita della storia.

Ha fatto centro Eli Roth, forse si è lasciato andare con un finale un po' troppo “all'americana”, avrei preferito che rimanesse sul ritmo del primo tempo, ma mi rendo conto che era forse troppo anche per lui.

 

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