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Poor Folk

Regia di Midi Z. vedi scheda film

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La recensione su Poor Folk

di ROTOTOM
7 stelle

scena

Poor Folk (2012): scena

 

 A-Hong e la sorella adolescente , insieme ad altre giovani ragazze birmane, arrivano a Dagudi, una remota cittadina della Thailandese settentrionale al confine con il  Myanmar . La giovane ragazza è stata venduta dalla madre alle bande di sfruttatori locali. A-Hong si trasferisce a Bangkok per lavorare come guida turistica poi, al seguito del fratello maggiore, cerca di vendere ad un’organizzazione criminale una partita di medicinali da trasformare in droga allo scopo di racimolare i soldi per riscattare la sorella ai suoi sfruttatori.

San Mei è una giovane birmana che è stata incaricata dall’organizzazione criminale che sfrutta ragazze adolescenti straniere,  di andare a prendere al confine la sorella di A-Hong . Con questo ultimo incarico spera di ottenere una carta d’identità di Taiwan, a lungo e invano promessa dal suo capo.  Il sogno di fuga di San Mei è però senza speranza. Le due storie parallele si sfiorano senza necessariamente mantenere l’ordine temporale degli avvenimenti, più importante è l’estrema aridità nella quale la tragica storia di immigrazione clandestina e sfruttamento si declina.  

Il regista Midi Z è nato e cresciuto nel Myanmar nel 1982 . La crescita come artista è avvenuta però a Taiwan.  La sua tesi di diploma, il corto PALOMA  BLANCA è stato proiettato in numerosi festival cinematografici. Nel 2009,  è stato selezionato per essere lo sceneggiatore capo e direttore del Taipei Golden Horse Film Academy  . Nel 2011, ha  realizzato il suo primo lungometraggio Return tu Burma.

 

Sospeso tra documentario e fiction, Poor Folk è una storia di povertà e clandestinità in bilico sul crinale di una sopravvivenza sempre sbilanciata dalla parte della più nera disperazione. Dagudi è una cittadina della Thailandia del nord a ridosso del confine con la Birmania.  Sono migliaia ogni anno i birmani che passano il confine per vivere da clandestini e finire nelle grinfie di sfruttatori senza scrupoli. Malavita e sfruttamento sono le caratteristiche della condizione  che permea l’esistenza di questa povera gente che oltrepassa il confine ricca solo di speranza.    Il titolo  povera gente rende in pieno l’atmosfera di profonda rassegnazione nella quale i protagonisti annaspano.  Ripresi nel quotidiano dei loro riti (quello del cibo su tutti) questi piccoli esseri umani  sono ritratti come in un dramma neorealista sospeso tra la fiction e la documentazione dal valore socio - antropologico. Sullo sfondo la realtà scorre indifferente.

 Lo stile di ripresa è proprio quello del documentario dove la fotografia in  luce naturale connota i lunghi piani sequenza il cui ricorso al campo medio-lungo dell’ inquadratura enfatizza il concetto di cinema verità. Sono rari i primi piani e quasi mai viene usato l’espediente formale del campo e controcampo. I personaggi sono inseriti nel quadro del reale come su un palco di un teatro off, dove la naturalezza anti drammaturgica dei lunghi dialoghi sembra scaturire da una ovvia consuetudine quotidiana piuttosto che da un copione da rispettare.
Il documento antropologico si sofferma in modo importante sulla condizione della donna  nella società contemporanea thailandese, sfruttata e ridotta a merce in un contesto di estrema povertà. La violenza , evidente, dello sradicamento delle radici, della sopraffazione, dell’accettazione passiva di una vita non propria, più che temuta è incoraggiata per  sollevare le sorti economiche delle famiglie. Il sacrificio di un membro di esse risolve temporaneamente il problema degli altri. I valori umani vengono così ridotti a merce di una società irreale e fatiscente. I fantasmi del benessere si aggirano tra le baracche, le loro catene risuonano sinistre intrecciate alle caviglie dei vivi.   

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