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Noche

Regia di Leonardo Brzezicki vedi scheda film

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La recensione su Noche

di lussemburgo
7 stelle

È fatto di forti e voluti contrasti Noche di Leonardo Brzezicki, e di consapevoli rimandi al cinema e all’arte, tanto da aprirsi attraverso una serie di sovrimpressioni di inquadrature naturali che, trattenute a lungo l’una sull’altra, generano panorami fantastici e costruzioni astratte, visioni oniriche di matrice magrittiana, con l’incerta lucentezza di una notte che si fa giorno o viceversa.

Alcuni ragazzi sono riuniti nella casa di campagna di Miguel che in quel luogo, da poco, si è tolto la vita. E nel celebrare una laica veglia funebre, riascoltano le ultime registrazioni del ragazzo, che si intuisce compositore e tecnico del suono, mentre quelle parole e quei rumori scavano nelle rispettive coscienze. Sono amici o amanti di Miguel, colleghi o compagni, dai reciproci indefiniti rapporti e riuniti forse solo dalla comune conoscenza del defunto e dalla macchina da presa, che li guarda muoversi per le stanze quasi vuote della casa o per la lussureggiante natura circostante, a seguirsi o incontrarsi, a scambiarsi parole o sesso, cibo e musica, cantando, ballando o solo soffrendo.

Nello stridore tra l’off costante del morto e la presenza in campo degli amici, si instaura una dissonanza che si fa straziante cacofonia, tra i rumori di una Berlino e di altre città distanti, come anche di intemperie assenti, riascoltate in mezzo a boschi e torrenti, nelle camere ormai disabitate in cui vagolano gli altri ragazzi alla ricerca di qualcosa che quel nastro non trasmette. Quella voce ormai perduta rimbomba sulle pareti disadorne come un’ossessione in Pedro, nel rimpianto, confuso nelle ondate di odio e di amore per sé e per l’altro, di un segnale non colto in tempo.

Suoni futili o forse importanti, rumori corporali e parole sofferte, interferenze ambientali o meteorologiche: le registrazioni di Miguel si sommano ai corrispettivi sonori in presa diretta, sovrastandoli o stratificandosi, lasciando compresi o indifferenti i personaggi mentre rievocano alcuni particolari in un vagabondare dubbioso oppure sofferto nella memoria. Audio e video, dissociati, procedono accomunati dal tentativo di trovare un senso ad un gesto estremo già avvenuto e infine riascoltato, tracciano il convergente percorso verso la dissoluzione di una persona e la ricostruzione postuma dei suoi gesti, in un andamento doppio e opposto che si traduce solo in movimento immobile, un sur-place esistenziale che sembra bloccare in un limbo di confusione i protagonisti. Similmente, la narrazione procede statica per l’ambientazione e sincopata nel seguire a turno i ragazzi, senza mai realmente svelarli, mischiando ad un fondale comune un andamento erratico da soap per l’alternanza dei punti di vista i quali, però, non sfociano in un vero racconto bensì in un ritratto multiplo, occasionale più che generazionale e che non si vuole paradigmatico se non di un diffuso malessere.

Se l’unità di luogo è stabilita dall’ambientazione, quella di tempo è instabile e variabile, soggettiva e impressionistica come la reazione a quella morte. È difficile capire dove il tempo scorra nella narrazione, mentre incespica in loop visivi e sonori, quando situazioni e dettagli si ripresentano uguali e l’intera costruzione si basa sulla sovrapposizione di una colonna sonora registrata su immagini date come attuali, si struttura proprio nel confronto tra il flusso di pensiero di un diario sonoro e la cronaca del suo ascolto. E nell’indeterminatezza cronologica che domina il film si fa spazio un confronto tra passato e presente, con il conseguente tentativo di definire un futuro, che rimane l’incognita su cui tutto si chiude, quando il nastro si interrompe dopo il suicidio rievocato e l’immagine si ferma davanti a degli altoparlanti silenziosi. E la machina da presa torna poi fuori, come all’inizio, a riveder le stelle nella notte.

Noche è un melodramma astratto, una micro-telenovela d’avanguardia in cui, alla stregua dei personaggi, che si muovono come fantasmi in una natura spettrale e realistica, Brzezicki sembra evocare Godard e Van Sant, Duras quanto Resnais, Weerasethakul come la più giovane connazionale Jazmin Lopèz, il Grande Freddo assieme alle Onde del Destino, numi tutelari, echi di analogo o di diverso cinema frammisti a immagini pittoriche surrealiste e a memorie renoiriane (anche cinematografiche). Questi referenti vogliono ridefinire, per correzioni progressive e per aggiunte, i contorni di un realismo personale puramente immateriale, costantemente rielaborato col mezzo filmico in cui si amalgama diffusa esibita sensualità (e sessualità) a freddezza espositiva.

Il regista riprende i ragazzi e la natura, dei cani forse inselvatichiti e l’acqua del torrente che scorre filmando elementi quotidiani che, pur in una luce mai artefatta, assumono un aspetto profondamente antinaturalistico e antiromantico. L’ambiente non riflette le emozioni degli uomini ma vi rimane indifferente, si offre come sfondo vivo e imperturbabile, mentre Brzezicki costruisce, con pochi mezzi, potenti artifici di straniamento che accentuano le tensioni dei personaggi perché Noche è, soprattutto, una dichiarazione di estrema e cieca fiducia nel cinema e nelle sue possibilità e qualità espressive.

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