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Supercondriaco - Ridere fa bene alla salute

Regia di Dany Boon vedi scheda film

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La recensione su Supercondriaco - Ridere fa bene alla salute

di nickoftime
6 stelle

Promotore di uno dei successi più clamorosi del box office francese, con incassi paragonabili a quelli dei blockbuster americani, “Giù al nord” aveva fatto del sodalizio tra Dany Boon e Kad Merad una delle sue carte vincenti. In quel caso poi, Dany Boon, regista oltrechè attore, si era inventato il classico asso nella manica, con una storia che esasperava pregiudizi e diversità tra due opposti culturali e geografici, capaci di diventare paradigmatici di una condizione universale. Era perciò logico che Boon, dopo una manciata di sortite non altrettanto fortunate (“Niente da dichiarare?”, “Un piano perfetto”) decidesse di ritornare all’antico, riproponendo la formula che gli aveva consentito simile ascesa. Questa volta però, forse per cercare di rinnovare il repertorio, Boon si ripresenta con una commedia spuria, nel senso che la comicità ed il divertimento scaturiti dalla dialettica tra il protagonista e la sua spalla sono contaminati da un diverso registro, ora drammatico, ora romantico, che prende piede quando Romain Faubert, ipocondriaco e single viene scambiato per Anton Miroslav, rivoluzionario in fuga dal Tcherkistan, immaginaria nazione dell’est europeo. Da quel momento in poi la storia subisce un’accelerazione improvvisa, trasportando le ossessioni dello sciagurato protagonista in un contenitore assolutamente dinamico, con fughe rocambolesche, scontri a fuoco, e salvataggi all’ultimo minuto che riproducono luoghi e dinamiche frequentate dal cinema d’azione. Lo scarto, pur evidente, viene tenuto a bada con disinvoltura dal regista che continua a privilegiare gestualità da cartone animato (i capitomboli si sprecano così come le mimiche facciali ) e quelle improvvisazioni linguistiche che appartengono alle specialità della casa, qui utilizzate quando Romain deve far credere di essere un cittadino straniero, e quindi di conoscere a malapena la lingua francese.

Caratteristiche che non vengono meno quando gli interni borghesi della Parigi della rive gauche vengono sostituiti dall’anonimato fatiscente e grigio della prigione dove il protagonista ad un certo punto si ritrova, ed in cui, in una scena da libro cuore, assistiamo alla tragicomica consumazione di un companatico, equamente diviso con topi e scarafaggi. Così come nell’assunzione di responsabilità che Romain sarà obbligato ad accettare durante la cattività, per superare gli ostacoli che lo separano dalla felicità. Diversamente dal capodopera che l’ha preceduto, “Superipocondriaco” rinuncia quasi del tutto all’analisi del contesto sociale ed allo scavo psicologico delle varie tipologie umane che entrano in gioco solamente per innescare le fobie del protagonista. Il meccanismo funziona a fasi alterne, perché se da una parte la scrittura del film assicura un progressione narrativa che non concede pause, dall’altra fa capolino una certa autoreferenzialità che copre solo in parte i limiti di un ispirazione troppo programmatica.
(icinemaniaci.blogspot.com)

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