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Metamorphosen

Regia di Sebastian Mez vedi scheda film

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La recensione su Metamorphosen

di lostraniero
8 stelle

C’è un demone che scorre tra le vene della terra. Uno spirito incompiuto e senza perdono che alligna lì dove la follia dell’uomo si tinge di ricerca scientifica, dove la sua noncuranza liscia e pettina le chiome di un mostro-sortilegio. L’atomo. E tutto ciò che diviene porta con sé il segno dell’errore, come se nella cifra inferiore della natura si riscrivesse in eterno – o quasi – il calcolo mancante dell’essere che sembra voglia dominare l’universale. Mettere in colonna le sue cifre. Addizionare ciò che non può essere sottratto.

E c’è un calcolo matematico anche in queste immagini che il giovane regista tedesco Sebastian Mez, ragguaglia e conguaglia dentro le viscere delle terre umide di Ozyorsk, fissando il suo stativo su putride erbe radioattive, tra arcangelici boschi erosi dal cesio, innanzi volti con occhi fissi destinati al cobalto. Moltiplicati in reazioni bipolari. La virgola decimale è l’improvviso aprirsi di un movimento, ma che dura il gioco chiaro di un’inquadratura. Poi tutto torna nel rigore di ripresa di un autore che rincorre, sovvertendo spesso il senso dell’attesa dello spettatore, un formalismo autentico e mai acceso. Composizione di materia decomposta invisibilmente. Sono immagini di una specularità intrinseca, uomini e cose (ammesso che le ‘cose’ non pulsino armonia e terrore al pari dell’umanità), in un quadro che sfiora un Tarkovskij alpha-digitale, che tocca certe abitudini di uno Sharunas Bartas meno compositivo e più espressivo del solito. Che investe quello che potrei irrazionalmente chiamare ‘dreyerismo agnostico’. Un film iniziato per scommessa e sacrificio, come ha confessato in sala stampa lo stesso Mez, realizzato con meno di 5 mila euro e destinato esclusivamente alle sale dei festival in giro per il mondo. Quasi a voler correggere e codificare il già eccellente lavoro delle sue due opere precedenti; il “Do the right thing” sui condannati a morte texani, e l' “Ein brief aus Deutschland” sui condannati a vivere delle nuove schiavitù sessuali. Qui è tutto il ‘percepibile’ che vive e muore allo stesso istante, da quel lontano giorno del 1957 in cui un’esplosione nucleare contaminò una vastissima area degli Urali; nuovi errori, nuove sciagurate scelte hanno portato – in questi decenni – l’intera area attorno al fiume Techa a divenire il museo atomico della perfidia umana. E Mez filma tutto questo, e filma anche di più. Lo fa grazie ad un altro demone, un ‘daimon’ che cerca di mostrarci il primo demone, che segue le sue tracce grazie ad una puntinatura digitale, che ne osserva gli esiti all’interno di una focale in bianconero che ci ridà invece i colori vividi della morte. E del varco caldo che la morte scava in mezzo alla vita. Il demone-cinema che pedina il demone-atomo. Scontro tra titani microscopici, forse. Una lotta alla fine vinta a mani basse dal regista tedesco. Nella giuria del 62° Trento Film Festival sedeva anche Nikolaus Geyrhalter (l’indimenticato autore di “Pripyat”), ed il cui giudizio avrà sicuramente contribuito alla vittoria finale della ‘Genziana d’Oro’ per questo interessante film…

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