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The East

Regia di Zal Batmanglij vedi scheda film

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La recensione su The East

di Utente rimosso (Cantagallo)
6 stelle

Forti di una reale esperienza sul campo, vissuta all’interno di una comunità anticonsumista che si sostiene attraverso il recupero del cibo e l’autoproduzione del necessario per vivere, Zal Batmanglij e Brit Marling scrivono a quattro mani la sceneggiatura di “The East”, seconda opera condivisa in fase di scrittura dopo “Sound of my voice” del 2011. Le due pellicole, dirette dal giovane Zal Batmanglij e interpretate da Brit Marling, possono considerarsi un dittico sui gruppi che si separano fisicamente e criticamente dal mondo, perseguendo un ideale di vita alternativo. Ma se “Sound of my voice” si concentra su una vera e propria setta guidata da un leader carismatico, “The East” si ispira invece alla realtà dei gruppi ecorivoluzionari che, oltre a praticare uno stile di vita neoautarchico, mettono in pratica azioni di sabotaggio contro le multinazionali e i loro devastanti interessi. E’ così che la protagonista Sarah, investigatrice privata in missione di spionaggio difensivo al servizio di una grossa società, riesce ad infiltrarsi nel gruppo denominato The East, iniziando a poco a poco a condividerne il quotidiano e a relazionarsi con i diversi membri. 

Può essere sbagliato crearsi delle aspettative troppo precise su un film perchè si rischia di fargli un torto immeritato. Sulla base del fatto che arrivasse dal Sundance, che fosse frutto di un’esperienza diretta e anche considerando la giovane età degli autori tra cui la Marling, già coautrice del notevole “Another Earth”, avevo stabilito che dovesse trattarsi di una pellicola in puro stile indipendente, non necessariamente documentaristica ma almeno molto libera e originale. In realtà non è un male che il film abbia un’impostazione in fin dei conti piuttosto classica, aspirando legittimamente ad un pubblico ampio. La tematica è attuale e la volontà di mettere sul piatto ragioni e torti, razionalità e coinvolgimento emotivo è lodevole e non semplice da realizzare. Nei momenti più interessanti del film, ovvero quelli che descrivono le dinamiche interne al gruppo, gli ecoattivisti sono ritratti (in modo comprensibilmente amichevole) sia nella loro rabbia, originata anche da traumi e disagi familiari, sia nei rituali tipici delle comunità alternative, che rimarcano il rifiuto delle convenzioni comportamentali e dell’individualismo attraverso pratiche di auto-aiuto, fruttando scene di riuscito effetto. Il film è inoltre illuminato dalla presenza di Brit Marling, che conferma non solo di avere talento come attrice e notevole fascino, ma anche di saper essere attivamente partecipe alla scrittura.

Qualche elemento più convenzionale riconduce però il film su binari abbastanza conosciuti.  Dal punto di vista ideologico, per esempio, mi è sembrato che le motivazioni che animano gli attivisti siano illustrate nei limiti di ciò che già si sa o si presume e che la rappresentazione delle forze tradizionalmente antagoniste (vertici delle multinazionali e polizia) non sfugga ad una certa retorica. Anche nei momenti in cui le motivazioni politiche si sommano ai rancori familiari si prende una piega un po’ melodrammatica che non si addice molto ad autori così giovani. L’aspetto narrativo più strettamente legato al thriller funziona, ma forse avrebbe mantenuto mordente più a lungo con una maggiore compattezza. 

Nonostante non sia forse il diamante grezzo che io avevo immaginato, è frutto di autori che hanno buone carte da giocare e l’aver voluto sperimentare direttamente una realtà prima di raccontarla testimonia un approccio onesto e una sincera curiosità, motivo per il quale attendo di vedere anche “Sound of my voice” - che pur essendo precedente esce da noi per secondo – per capire meglio da quali primi passi è maturato “The East”.

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