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In a World - Ascolta la mia voce

Regia di Lake Bell vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su In a World - Ascolta la mia voce

di shadgie
7 stelle

La grancassa tonante dell'industria del voice-over si chiude improvvisamente sulle teste appena illuminate degli spettatori dell'ennesimo kolossal hollywoodiano. La cornice elitaria e curiosa del mondo del doppiaggio e della costruzione dei trailer, veri e propri mostri epici atti a traghettare successi dalle ossature assai fragili, è lo spunto del lungometraggio In a world. Don La Fontaine è  morto e dal "mockumentario", defunto personaggio reale prendono vita le fittizie e animate figure di una storia ben delineata, dal vago sapore indie-hipster ma sorretto da un corpo filmico robusto, reale pur nella suggestiva lontananza . Dall'Italia, terra che più di altre ha coperto le voci autoctone degli attori con un complesso sistema para-familistico capace, soprattutto in passato, di generare personalità artistiche di spicco (talvolta dalle capacità attoriali ben maggiori degli attori stessi), si potrebbe guardare con interesse a questo mondo sonoro, quasi mutilato dall'immagine-linfa, comprendente personaggi e attività svariati. Non è esattamente di doppiaggio che parla la protagonista, impersonata dall'attrice e regista Lake Bell, trattandosi di un'attività poco praticata al di fuori dei film d'animazione, quanto di voice-over, di voci alienate dal corpo, spieganti, narranti, preposte a rendere indimenticabile una serie di frasi spesso ridicole. Dopo la morte di Don, conosciuto soprattutto da addetti ai lavori, nessuno saprà più dire "in un mondo...". ma Lake-Carol possiede più di altri la cognizione e la consapevolezza, vocale e materiale, di quanto quell'incipit risibile sia significativo. Figlia di un "trailerista" dalla voce irsuta, vive in un mondo assai diverso da quello favolistico propinato agli ignari fruitori di cinema: il padre l'ha iniziata al mestiere ma ha mantenuto con lei un atteggiamento ambiguo ed altalenante, manifestandole spesso quanto il mainstream non abbia bisogno di voci femminili assertive, adulte, educate e ricche nella gamma espressiva. La trentenne dinoccolata e dimessa, che vive ancora con lui - salvo essere letteralmente cacciata per far spazio alla sua nuova fiamma, sua coetanea - si mantiene a malapena facendo la vocal coach, ovvero "educando", grazie al suo timbro profondo ed appena incupito, le voci di numerose donne dello spettacolo e non asservite al virus della "barbie sexy". Le donne, giovani ma anche meno, che popolano le strade di Los Angeles, sembrano infatti voler forzare le proprie corde vocali all'interno di un'eterna pre-adolescenza, requisito fondamentale di desiderabilità, di conseguenza, di accettazione da parte del sistema maschio-centrico, pena il rischio di essere escluse da mansioni di responsabilità (come accade alla casuale allieva di Carol, incontrata in lavanderia, con la quale la protagonista ha potuto comunicare in modo comprensibile solo elevando la sua voce a tonalità impensabili).

Quando i produttori sembrano volerla per il trailer di una serie cinematografica di ascendenza fantasy-letteraria (il richiamo a The Hunger games appare evidentissimo, fin troppo marcato) e rivolta ad un pubblico potenzialmente vasto e fedele di adolescenti, Carol ha l'occasione per la sua rivincita personale ed emotiva sul padre. Come nella più classica delle commedie, però, dalla mancata comunicazione della notizia iniziale nascono una serie di equivoci, ingigantiti dal one night stand di Carol con il giovane e arrogante neo-reuccio del mondo dei trailer. I dialoghi, spesso serratissimi, di protagonisti e comprimari esaltano un universo familiare fatto di non detti e vibrazioni negative, mutilate della voce più che dei volti, comunicativi e comunicanti. La partita delle Amazzoni di The Amazon Games, costruita nel film dentro al film, appare come un contraltare palese della partita iniziata dal padre di Carol contro il successo della figlia, che si approssima ad eclissare il suo, ma soprattutto contro i destabilizzanti (seppur ancora embrionali e superficiali, come rivela il personaggio di Geena Davis alla protagonista) potenziali cambiamenti dell'industria, che non sempre solletica l'ego maschile di anziani e nuove leve. Sia Soto (il più vecchio, padre di Carol) che Gustav (il più giovane), inscenano infatti un'amicizia cameratesca e "di settore" fin troppo macchiettisticamente legata all'immaginario della donna-oggetto capace solo di gridolini e di "affermazioni che sembrrano domande" (cit.). Il non troppo sotterraneo ma lieve tentativo di narrazione femminista - o forse, semplicemnte e autenticamente femminile - si avvale di invenzioni stilistiche non roboanti ma gustose, come l'ingresso di una Carol-Alice nel "covo" orientaleggiante e kitsch del suo rivale nella professione e occasionale amante. Le relazioni tra i personaggi si intensificano e svelano le proprie falle appogiandosi anche su storie parallele, come quella della sorella Dani e dell'accenno di tradimento, messo in scena attraverso una rivelazione ancora una volta sonora, con la fragilità emotiva della donna assimilata, nelle movenze nervose, all'insicuro andamento di Carol e al rapporto con il comune genitore. Nel finale dolceamaro interviene il tentativo di recupero emotivo, un po' posticcio, del rapporto padre-figlie affidato al deus ex machina di un discorso pubblico dell'uomo, previamente incoraggiato dalla giovane fidanzata, sempre di supporto. Tra le poche ma sostanziali pecche dell'opera prima di Lake Bell, attrice maturata soprattutto nel panorama televisivo, si nota però anche la concessione alla luminosità psichedelica troppo tipica di un film Sundance, come  nella scena dell'avvicinamento, agognato, al tecnico del suono Louis contraddistinta da una carrellata di azioni simil-adolescenziali fluttuanti in uno scroscio di (bella) musica anni '80-'90. L'immancabile corollario di uno smorzato, ma sincero, discorso amoroso.

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