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Dallas Buyers Club

Regia di Jean-Marc Vallée vedi scheda film

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La recensione su Dallas Buyers Club

di EightAndHalf
3 stelle

Tutto inizia con Jean-Marc Vallée, l'eterno indeciso, sguardo etereo e ambiguo, autore di un C.R.A.Z.Y., nel 2005, che non era niente male e che faceva dell'alternanza di realismo freddo e partecipazione emotiva la sua carta vincente, e autore di questo Dallas Buyers Club in cui non si parla più di un solo protagonista circondato da altri ma di ben tre personaggi principali, la qual cosa rende quell'alternanza di realismo e partecipazione stimolo di un'insipienza artistica su cui si vorrebbe sorvolare. Certo viene difficile (sorvolare), di fronte a fastidiosissimi scarti registici volutamente ad effetto, con effetti sonori enfatici, e scene di dialogo e di altro fatte con la mitica regia traballante, per cercare di dare al proprio non-stile un atteggiamento autoriale. E non si fraintendano queste parole, Dallas Buyers Club sprizza sincerità da tutti i pori, come poteva sprizzarne Philadelphia, ma cela dietro diversi strati di seriosità e di (ostinatamente) simpatici personaggi sempre gli stessi canoni della cinematografia dei buoni sentimenti, dalla contemplazione delle urla di dolore di coloro che soffrono alla voglia di ricominciare dopo una sconfitta, dall'osservazione laconica dei corpi decadenti dei due protagonisti a evoluzioni caratteriali molto poco ben rese e spesso al limite del grossolano, tutti caratteri che sono decisamente protesi ad un'indignazione che non arricchisce né dice davvero nulla. E' il genere edificante, forse, che seppellisce sotto i suoi topoi ultrasfruttati plurime fragilità, che non funziona, soprattutto quando si insiste sul fatto che il film è tratto da una storia vera e che un tempo c'erano problemi grossi grossi e solo dal basso si potevano creare degli eroi. Anche perché più un personaggio è negativo all'inizio più ci si potrà identificare in un suo quasi immediato cambiamento, che lo veda prima a drogarsi e a scoparsi una o due prostitute nel buco di uno stadio oppure a casa sua, e poi a cercare con dedizione e accuratezza dei metodi per provare che anche gli etero possono avere l'AIDS, per un attaccamento alla vita che sesso, droga e ancora sesso sembravano in fondo negare, nelle loro forze dissolutorie. 
Se volessimo prendere sul serio le trasformazioni psicologiche dei vari personaggi del nuovo film di Vallée dovremmo accettare, a fianco delle varie ellissi narrativi (con didascalie cronologiche allegate per orientarsi meglio), altrettante ellissi 'caratteriali', se esiste questo termine, ovvero la voglia di raccontare un cambiamento evitandone la gradualità: perché è decisamente senza un vero motivo che il nostro bravo Matthew McConaughey, che finalmente ha imparato a recitare, apre questo club insieme a un tipo di uomo che giusto venti minuti prima odiava con tutto il suo cuore, un travestito omosessuale malato come lui di AIDS. O meglio, il motivo c'è, ma non si riescono a evincere i passaggi mentali con cui questo avviene, perché Vallée non può fare a meno di ammettere che dei suoi personaggi a lui frega poco o niente, e che quello a cui vuole mirare è un discorso accusatorio contro le case farmaceutiche e crudeltà assortite, dovute a mali più incarnati come la (solita) omofobia (niente da dire, chiaramente, ma rischia di essere un pretesto, utilizzato pure male), per cui si riesce perfino a stufarsi di un/una Ray/onne (Jared Leto) che è tutta gridolini e simpatia ma che non ha dietro proprio niente (ovvero, simpatia fine a se stessa priva di screziature), e di una dottoressa Jennifer Garner caratterialmente assente e su misura per condurre un'accusa contro il sistema sanitario e farmaceutico degli USA anni '80. E non solo sono un problema i personaggi principali, ma lo sono anche quelli secondari: i vecchi amici del protagonista, dal poliziotto che non vuole stringere la mano a Rayonne, allo stesso poliziotto che accetta senza pensarci i consigli di un malato per guarire suo padre. E tutti i vari comprimari, occupati a fare gli omofobi e, narrativamente parlando, a non avere altro da dire. Dissimulazione dei buoni sentimenti: tutto questo è Dallas Buyers Club. I pugni nello stomaco proprio non stanno di casa.

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