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Qualcuno da odiare

Regia di Bryan Forbes vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Qualcuno da odiare

di sasso67
8 stelle

Penso che del finale di Qualcuno da odiare debba essersi ricordato Robert Altman nel girare le ultime sequenze di California Poker (1974). Il protagonista è lo stesso, George Segal, e molto simile è la sensazione di vuoto che traspare dai suoi occhi. La vicenda qui raccontata da Bryan Forbes (1926 - 2013) - che, diciamolo subito, non è un grandissimo regista, ma si muove bene tra le baracche del campo di prigionia nipponico sull'isola di Singapore - racconta di un campo nel quale sono rinchiusi numerosi prigionieri di guerra inglesi e americani, caduti nelle mani dei giapponesi. Si sta approssimando la fine del conflitto e la gran parte dei soldati rinchiusi sembra vivere in uno stato di semi demenza, dovuta alla lunga prigionia, alle torture dei carcerieri, alle malattie e agli stenti. Anche gli ufficiali di alto grado hanno praticamente rinunciato ad esercitare il loro ruolo, soggiacendo alle richieste dei soldati più traffichini. Tra questi ultimi, conservano una parvenza di lume della ragione soltanto coloro che si sono prefissi un obiettivo, come il tenente inglese Robin Grey (Tom Courtenay), fanatico cultore della disciplina militare, anche nelle condizioni estreme del campo di prigionia. O come il caporale americano King (dal cui nome deriva il titolo originale del film, King Rat, che si riferisce anche ad una delle tante truffe messe in atto dal sottufficiale, quella di vendere carne di topo spacciandola per carne di daino indonesiano), la cui missione è ormai soltanto quella di sopravvivere. Ecco perché tutte le sue energie sono finalizzate ad accumulare denaro: egli prevede che quando finirà la guerra, i giapponesi uccideranno tutti i prigionieri, eccetto coloro che potranno riscattare la propria vita con i soldi. Il caporale King (interpretato, appunto, da George Segal) conosce e comincia ad apprezzare un militare inglese, Peter Marlowe (James Fox), più intelligente e sensibile della media, con il quale stringe una sorta di cameratesca amicizia, parzialmente cementata anche da comuni interessi affaristici, fino ad assumersi l'onere, anche finanziario, di curargli un braccio ferito che rischia la cancrena e quindi l'amputazione.

Quando la guerra finisce - e finisce in una maniera che King non aveva previsto, con la rassegnata resa dei giapponesi - tutti i soldati festeggiano, tranne lo stesso caporale americano, che sembra non avere più uno scopo: quasi in trance, sale sul camion che lo porta verso la libertà, senza salutare l'amico inglese che lo sta cercando. Negli occhi del sottufficiale americano si può leggere uno sguardo che non è troppo diverso da quello dei soldati giapponesi sconfitti. Né è molto diverso da quello che il medesimo George Segal, come dicevo prima, mostra nel finale di California Poker. E non perché l'attore newyorkese sia poco espressivo - tutt'altro - ma perché, pur in contesti così diversi, la sensazione di smarrimento e quasi di svuotamento è molto somigliante.

Qualcuno da odiare è uno di quei film di ambiente concentrazionario, il cui riferimento più immediato non può non essere Stalag 17 di Billy Wilder. Tuttavia, qui è chiaro fin dalla didascalia iniziale che non c'è alcuna tensione verso l'evasione, soprattutto in forza della stessa ubicazione del campo di prigionia. In ogni caso, analogamente a tanti film della medesima ambientazione, anche Qualcuno da odiare resta quale documento e denuncia sull'insensatezza della guerra.

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