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The Zero Theorem

Regia di Terry Gilliam vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Zero Theorem

di logos
8 stelle

In un futuro dispotico che potrebbe rispecchiare un ambiente molto similare al nostro, la tecnologia informatica e le reti virtuali hanno preso del tutto il sopravvento, gli esseri umani sono soltanto degli strumenti del grande ingranaggio della volontà di potenza completamente dispiegata, in cui dell’essere non è più nulla, ma conta soltanto il numerare del dominio della totalità dell’ente, che si esprime in una società del controllo, non più di carattere orwelliano (cfr. Brazil), ma molto più insidioso, perché trattasi di un controllo meno disciplinare, fagocitato dagli stessi esseri umani, piacenti di essere assorbiti nelle macchine, contribuendo essi stessi al proprio controllo, incentivato da continui slogan pubblicitari che scandiscono e imprimono il ritmo sociale ritornante dell’ente.

 

In questo contesto di controllo, che si manifesta attraverso colori squillanti che non fanno altro che rendere il contesto ancora più tetro, si muove il protagonista, Qohen Leth  (un grande Christoph Waltz), che vive nella sua propria solitudine esistenziale, con la paura di morire, di vivere, in attesa angosciante di una misteriosa chiamata telefonica, che possa dare un senso alla propria esistenza, in un mondo che invece sembra aver perduto senso perché continua imperterrito nel potenziamento della propria potenza in una giostra nichilistica di eterno ritorno della potenza medesima.

 

Non è difficile vedere in questo mondo la realizzazione del nichilismo compiuto di nicciana memoria, ma al tempo stesso Qohen Leth è in attesa della chiamata, che possa finalmente strapparlo dall’insensatezza. Pur di ricevere la chiamata, in qualità di dipendente di una grande industria informatica, deve eseguire il progetto assegnatogli dal Management (un bello e irriconoscibile Matt Demon), vale a dire realizzare il Teorema Zero, atto a dimostrare, appunto, che dell’essere non è più nulla. Perché possa realizzare questo progetto, che lo può portare alla follia, il nostro eroe è ambiguamente supportato dalle prestazioni erotiche virtuali della bella Bainsley (Melanie Thierry) e dall’aiuto di Bob, il figlio genialoide del Management.

 

In quest’opera appare subito in azione la grande visionarietà di Terry Gilliam, la cui caratteristica particolare non è l’effetto spettacolare ma la rappresentazione onirica del potere e dell’esistenza in grande stile.

 

Inoltre l’opera si contrassegna, a mio avviso, per essere anche un grande manifesto filosofico, in cui si confrontano l’idea di Deleuze della società del controllo, il nichilismo della volontà di potenza di Nietzsche, ma anche l’appello all’essere di Heidegger. Cerco di sviluppare meglio queste mie impressioni. Società di controllo e volontà di potenza caratterizzano il mondo nel suo complesso a cui tutti sono asserviti, compreso il nostro eroe. Tuttavia egli possiede una marcia in più: è consapevole del nichilismo, e si dà del noi. Questo suo parlare alla prima persona al plurale e non al singolare sta a significare che non è solo, ma è in rapporto continuo con l’essere presente come assente, come promessa al suo appello-chiamata. Intanto però, in attesa della chiamata, deve sottostare al nichilismo, procedere con il teorema zero, senza poterlo realizzare del tutto. Ma non può realizzarlo, e questo non tanto per le difficoltà tecnico scientifiche, quanto piuttosto per il fatto che il teorema è già in atto e non c’è più spazio per la fatidica chiamata, tant’è che egli stesso dovrà realizzare che si tratta soltanto di un’illusione. In questo senso Nietzsche-Management vince su Heidegger- Qohen, e allora la reazione del nostro eroe sarà quella di tentare una fuga dal mondo senza senso; per andare dove? In un’altra ed ennesima illusione, in una sospensione da se stesso e in se stesso, che non farà altro che riconfermare l’eterno ritorno, nella sua chiusura nichilistica. Oppure no, la sua fuga nell'abbandono potrebbe essere un nuovo inizio, il riscoprimento della radura dell'essere.

 

A parte queste mie personali e discutibili interpretazione, resta un film pregevole, stramaledettamene visionario e filosofico, ma anche un colpo duro e netto contro  un cinema che ostracizza le belle opere.

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