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La vita di Adele

Regia di Abdellatif Kechiche vedi scheda film

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La recensione su La vita di Adele

di giancarlo visitilli
6 stelle

Il cibo, la danza e i fiumi di parole, sembrano caratterizzare ogni film di Abdellatif Kechiche, compreso questo, La vita di Adele, con cui ha vinto la Palma d’Oro a Cannes 2013.

L’attrazione di Adele, rapita dall’insolita luminosità di un colore, l’azzurro dei capelli di Emma, una ragazza che ancora non conosce e di cui si innamorerà, rappresenta l’inizio di una fine. Perché, entrambe, percorreranno direzioni diverse, almeno dopo quel loro primo incontro, a cui seguirà un altro, che metterà a confronto due esistenze diverse, l’una dall’altra: l’Adele liceale, affascinata dal mondo e dalle vite, ma timida, ed Emma, studentessa di Belle Arti, sicura di sé, ma anch’essa curiosa. Ad unirle sarà un sentimento forte, che coinvolgerà ogni aspetta della loro vita, ma che travolgerà solo una delle due.

Tratto dalla graphic novel “Il blu è un colore caldo” di Julie Maroh, questo film di Kechiche, una storia di formazione, suddivisa in due capitoli, l’adolescenza e la maturità, se confrontato ad altri suoi lavori, si fa difficoltà a pensare alla Palma d’Oro. Tecnicamente e registicamente ineccepibile, come sempre, La vita di Adele è affidato tutto all’espressività e alla fisicità delle eccellenti attrici protagoniste Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos, capaci di arrossire, piangere ed emozionarsi, senza recitare, dinanzi alla macchina da presa, che esplora ogni dettaglio delle loro vite, scavando fin nel dettaglio, stringendo e addossandosi, con un’assiduità soffocante, attraverso primi piani insistiti. Il dettaglio è quello che interessa al regista franco-algerino: quello di ogni attimo e che impressiona la vita nei fotogrammi quotidiani. I ritratti, allora, sono quelli Adele ed Emma, i loro silenzi, le loro parole, i discorsi e le emozioni, a botte di arte e di filosofia, fino alle feste e cene comandate in famiglia. Ma più di tutto l’amore.

E fino a qui, di filmografia che ha esplorato tutto ciò, in rapporto alla diversità sessuale, ce n’è un’infinità. Speravamo in un qualcosa che andasse al di là del retorico conformismo sull’omosessualità, al maschile e al femminile, che esplorasse altri territori, che non fossero quelli soliti della dell’analisi del contesto in cui le protagoniste si muovono, con le solite differenze tra le famiglie di provenienza. Altrimenti, come si giustificherebbero anche le tre ore di pellicola, un’ora della quale, circa, impressiona le lunghe ed estenuanti scene di sesso, con immagini esplicite di strofinamenti, schiaffeggiamenti e pruriti, che non hanno più il senso di quello che di proibito, ormai, e finalmente, non c’è più. Nonostante sia vergognosa la censura operata in Italia ai minori di 14 anni.

Fa un po’ sorridere il passaggio del tempo che non cambia nulla, neanche il trucco e il parrucco della pur brava interprete che, dal liceo, ce la si ritrova insegnante, senza che il tempo, non solo attraversi il film, affidando il tutto al sottile passaggio delle stagioni. L’eccessiva autorialità di cui pecca La vita di Daele, fra Sartre, Bob Marley, citazioni di poeti surrealisti, passando anche per l’Antigone, non riescono a svelare il grande dilemma, se è vero, come si afferma nel film, che “Le donne provano nove volte più piacere dell'uomo”. Almeno questo sarebbe bello che, nei prossimi capitoli che ci aspettano, da parte di Kechiche, li trattasse, un po’ più, a cuor leggero. E soprattutto, consumando meno celluloide, per dire qualcosa per il quale sarebbe bastato giusto la metà del tempo della durata di questa pretenziosa operazione. Che non aggiunge nulla, rispetto alle tante vite di Adele… 

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