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Still Life

Regia di Uberto Pasolini vedi scheda film

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La recensione su Still Life

di Peppe Comune
7 stelle

John May (Eddie Marsan) è un impiegato comunale che si occupa di preparare i  funerali di persone rimaste sole. Assolve con meticolosa ossessività il suo lavoro, arrivando a catalogare in un album le foto di tutti i morti di cui si occupa e a spingersi ben oltre il limite che gli sarebbe consentito nella ricerca di quanti possano essere interessati alla celebrazione delle onoranze funebri. Un giorno, il suo diretto responsabile (Andrew Buchan) gli comunica che occorre fare dei tagli alle spese, che il suo ufficio sarà inglobato in un altro con più ampie funzioni e che per lui non c'è più posto. Prima di lasciare il lavoro c'è da chiudere un ultima pratica, quella relativa a Billy Stoke, un uomo che abita nel suo stesso caseggiato ma che lui non aveva mai visto. Un ultimo caso di morte che riaccenderà in lui una gran voglia di vita.

 

Eddie Marsan

Still Life (2013): Eddie Marsan

 

"Still Life" dell'italoinglese Uberto Pasolini (solo omonimo del Pier Paolo il Poeta ma, fatto curioso, nipote di Luchino Visconti) è un'opera minimalista che riesce a parlare del senso della vita rimanendo concentrato sul tempo della morte, un film percorso da una calma tragica che contempla sobrietà di stile, essenzialità formale e ricchezza dei contenuti. Uberto Pasolini costruisce una storia cucendola addosso alla formidabile interpretazione di Eddie Marsan, un uomo totalmente immerso in un lavoro che concepisce come una missione impellente da dover compiere. Lo si vede da come cammina, da come il tempo è scandito dalla regolarità maniacale delle azioni che compie, da come presenzia da solo ai funerali, da come li organizza rispettando l'inclinazione religiosa del defunto e di come si occupa della sepoltura di queste persone la cui assenza non è stata reclamata da nessuno. Lo si vede da come guarda le foto dei "suoi" morti riposti con cura in un album (c'è una sequenza a riguardo davvero molto bella), morti che ha imparato a conoscere attraverso gli oggetti in loro possesso e alle facce che tradiscono momenti migliori. Lo si vede da come si è isolato dalla propria vita per rincorrere quella degli altri. "La verità è che i morti sono morti e i funerali sono per i vivi. Se non trovi nessuno non soffre nessuno giusto ? Insomma, per chi rimane è meglio non sapere, niente funerali, niente tristezza ne lacrime. Tu che ne dici ?", dice il "capo" di John May dopo avergli comunicato il licenziamento. "Non ho mai considerato la cosa da questo punto di vista", risponde l'uomo. Lo snodo di tutto sta proprio nel punto di vista che si adotta rispetto al senso che si ha della morte e al valore che si intende attribuire ad una vita che non è più. Una differenza questa che non evidenzia solo la diversa sensibilità di due persone che su un dato argomento possono giungere a differenti opinioni, ma anche la più ampia differenza tra uno stato di cose che tende ormai a qualificare ogni cosa adottando criteri meramente numerici, vita compresa, e chi ha della morte quel valore etico che serve ad attribuire ad una vita trascorsa la sensazione di non essere passata invano. Per John May i morti non sono semplicemente delle persone che non ci sono più e che, essendo rimaste sole, possono più facilmente essere dimenticate, ma rappresentano delle entità concrete che danno vita ad un mondo a parte del tutto partecipe della storia che scorre, un mondo fatto di ricordi da lasciar riaffiorire, esperienze di vita vissuta, persone messe in attesa, sentimenti lasciati ad aspettare. Un mondo che cadrebbe definitivamente nell'oblio se a nessuno venisse in mente di andare a ritroso per cercare di dare un senso compiuto a quell'insieme di segni che certificano il passaggio in terra di un'anima solinga. Segni da catalogare nel presente e da custodire per l'eternità. Rimanere a vivere da soli è certamente una brutta cosa, ma può essere anche il frutto di una scelta presa con piena consepevolezza ; morire da soli senza essere ricordato da nessuno significa, invece, essere stati totalmente dimenticati dalla memoria del mondo : significa allungare il senso di morte anche alla vita che è appena finita. É di questa gravità che si fa carico John May, la cui meticolosità nel preparare i funerali è quella di chi cerca di fare della morte il momento ultimo per ridare sacralità alla vita. John May va ben oltre i doveri consentiti dall'impiego che ricopre perchè si è reso consapevole dell'urgenza di marcare una linea di continuità tra l'esserci stato e il non esserci più : per omaggiare una vita che è finita e non certificare una morte che sta solo continuando. Il momento dei funerali rappresenta l'atto estremo di questo compito che si è attribuito più per supremo rispetto nei confronti della vita che per una semplice attitudine alla compassione, e il dover constatare che solo lui presenzia ai funerali di questi esseri dimenticati non fa che accrescere la solennità della sua missione e il peso della sua solitudine. Tutto questo trova una sintesi "opportuna" proprio nell'ultimo caso di cui John May dovrà occuparsi : quello di Billy Stoke, un uomo che abitava proprio di fronte al suo appartamento. Lui, così prodigo nel riconsegnare una vita a chi è stato dimenticato da chiunque, non si era mai accorto di quella presenza solitaria morta ancor prima di morire. La vicenda di Billy Stoke accresce per riflesso il peso desolante della sua condizione esistenziale e quando conosce Kelly Stoke (Joanne Froggatt), la figlia di Billy, che sembra voler spingere la loro conoscenza oltre il limite previsto dalla prammatica del suo impiego, fosse solo per mostrargli quell'umana riconoscenza che nessuno gli ha mai tributato, John May crede di poter farsi beffa della sua solitudine. Senza però aver fatto i conti con la beffarda ironia della sorte.

"Still Life" parla sotto voce pur urlando la lingua delle anime morte, sprigiona luce pur essendo colorato di grigio. Un film intelligente che si prende il lusso di fare un finale sfacciatamente consolatorio (da favola in nero direi) senza disperdere nulla della sua discreta eleganza.    

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