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Still Life

Regia di Uberto Pasolini vedi scheda film

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La recensione su Still Life

di FilmTv Rivista
8 stelle

Still Life, vita immobile, è l’ossimoro in cui si muove John May, impiegato comunale addetto all’interramento delle salme prive di parenti. La sua esistenza è ferma e desaturata come le inquadrature con cui Pasolini lo incornicia, assimilandolo a un pezzo d’arredamento o a una statua. Ossimorico a sua volta, ai colleghi e allo spettatore John appare come un bizzarro animale in via d’estinzione: un burocrate col cuore, che all’efficienza unisce la passione per le vite degli altri. Ricostruisce con perizia hobby e storie dei defunti: un oggetto, una foto, un animale gli sono sufficienti per elaborare un piccolo elogio funebre che leggerà, al cospetto di nessuno, al funerale deserto di tante, troppe persone morte sole. Educato e compassato, nel segno di un understatement tutto britannico, tenta di restituire una parvenza di dignità e di affetto a chi è trapassato senza che nemmeno i vicini se ne accorgessero; colleziona esistenze altrui in cartelle ben compilate che rimpiazzano gli album di una famiglia, la sua, inesistente. Il cambio di fuoco, in questa routine glaciale, avviene quando a morire in totale solitudine è il suo dirimpettaio, crepato senza un amico né un cane a pochi metri dalla casa di John: la finestra di fronte diventa uno specchio dove l’impiegato vede riflesso il suo futuro. Come se non bastasse, il suo zelo viene letto come lentezza dall’ufficio comunale, che lo licenzia: trovare familiari e conoscenti del vicino defunto diventa per John una missione personale, non più un semplice lavoro. Pasolini lavora in sottrazione, con una messa in scena minimale e trattenuta quanto i sentimenti del suo protagonista: al resto ci pensa Eddie Marsan, eterno caratterista (l’abbiamo visto in decine di titoli, da Gangs of New York a Miami Vice, sempre maiuscolo in ruoli minori) che qui regala al suo piccolissimo uomo un’interpretazione gigantesca. Nei panni di un personaggio che parla poco e non alza mai la voce, ogni sopracciglio sollevato, ogni labbro contratto diventano precisa punteggiatura di un discorso silente e disegnano un paesaggio interiore sterminato. Come la vista che si apprezza da quella tomba, lassù in cima al camposanto, scelta da John per il suo riposo eterno e donata in un atto di amore per la vita: quella di un altro, ma vissuta per procura. Favola nerissima che passeggia lieve a braccetto con la morte, Still Life è un’amara riflessione (addolcita, forse troppo, solo dall’inquadratura finale) sul posto che occupiamo nel mondo e su quello che occuperemo sotto terra.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 50 del 2013

Autore: Ilaria Feole

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