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Profondo rosso

Regia di Dario Argento vedi scheda film

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La recensione su Profondo rosso

di scapigliato
9 stelle

Difficile parlare di un capolavoro. Le difficoltà stanno nell'impossibilità di essere possibili. Di descrivere il possibile come se fosse una scienza certa, una verità assoluta. Il grande Maestro del nero cinematografico italiano con "Profondo Rosso", non solo sigla l'abbandono dello psyco-movie puro (che riprenderà solo dopo più di dieci anni con "Opera") per l'horror enigmatico e stregonesco, ma firma anche un film che tra neutralità e soggettiva, tra sadismo e humor nero, tra citazionismo e reinvenzione, rimane ancora oggi un'opera multiforme, che fissa le sue immortali radici nell'indiscutibile presa del genere. Un'inspiegabile ascendente.
Una storia se vogliamo semplice e simile a molte precedenti e successive, ma oltre ad avere dei dialoghi azzeccati, "Profondo Rosso" ha il pregio di violentare il cinema e lo spettatore con una forza nuova, non dico innovatrice, perchè credo ci siano film anticipatori che io non conosco, ma nuova sicuramente. Già Mario Bava aveva reso, e inarrivabilmente, il gusto e il piacere di scene shock, forti e violente in dimensioni barrocco e oniriche che disturbassero la quiete dello spettatore medio, che andava in quegli anni ad assopirsi all'ombra della grande madre castratrice che è la televisione (madri castratrici come in Argento!). E già ci aveva pensato Alfred Hitchcock a creare un cinema di suspence di cui gli elementi morbosi e nascosti ne erano il pane, oltre che ad inaugurare stili e accorgimenti registici nuovi, che saranno poi degli "innegabili" del genere. Dario Argento, ha invece portato sullo schermo un'efferatezza secca, quasi mai dilata eccessivamente come in Bava, ma pur sempre efficace. Ha impostato, ed imposta tutt'ora (con tutti i limiti dei suoi film più recenti), una messinscena confusa, montata e contromontata, piena di carrellate troncate, e di riprese con angolazioni diverse. La sua arma più riuscita (presa anch'essa da Bava e da Hitchcock, ma anche da Leone) è la soggettiva, che qui in "Profondo Rosso" acquista uno spessore unico e peculiare: diventa una soggettiva ingannata. Noi, non vediamo più la verità come la vede l'assassino, ma la vediamo sempre confusa e ambigua, come se tutto il cinema che Argento ci mostra fosse un grandissimo specchio in cui si riflettono e controriflettono tutti i trompe-l'oeil possibili e impossibili. Pechè bisogna ribadirlo: il cinema tenta di rappresentare la vita e di veicolare significati assoluti attraverso immagini e visioni, ma è oggi sempre più difficile essere possibili (e Dario Argento ben lo sapeva e ben l'ha rappresentato). Crediamo una cosa che non è, e tutto quello che non crediamo possibile, e che allontaniamo da noi con riluttanza, appare invece possibile e catastroficamente ci cade addosso. Domanda: la finzione, quindi, è quella che vediamo riflessa sul grande schermo, o è quella che noi crediamo di vedere riflessa sul grande schermo? L'occhio ingannato, lo sguardo mutilato e fallito del cinema di Dario Argento ha trovato il suo veicolo più efficace: l'horror, il thriller, il genere nero. Ma si sarebbe trovato altrettanto bene anche nei nostri numerosi spaghetti-western. Basta che sia Genere!
Se c'è una strada da prendere per fare bel cinema da un lato, ed avvicinarsi allo spettatore dall'altro, quella strada è quella del cinema di genere, tramite il quale si possono trattare temi e argomenti universali, proprio come nel più impegnato dei film d'autore. Argento con "Profondo Rosso" proietta sullo schermo quell'immaginario angosciante che incontriamo tutti i giorni, da quando ci guardiamo allo specchio la mattina, a quando cerchiamo di prendere sonno di notte. E lo fa attraverso un'agghiacciante trama giallo-thriller-horror che traduce in termini cinematografici il gusto narrativo della vita. Perchè la vita è una storia, che sia gialla, nera, o rosa dipende da noi, e da "loro"...

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