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Profondo rosso

Regia di Dario Argento vedi scheda film

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La recensione su Profondo rosso

di maso
8 stelle

 

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Classicissimo del cinebrivido all'italiana che chiude il poker dei thriller del primissimo Argento e allo stesso tempo apre una porta verso l'esoterismo dei film successivi.

Gli ammiratori del genere e del regista lo considerano senza obiezioni il capolavoro del suo autore e del suo genere, ma provando a stendere un'analisi più approfondita si possono evidenziare alcuni difetti non di poco conto, ma partiamo dai pregi: in primo luogo l'atmosfera inquietante ed opprimente che si inala fin dalle prime immagini, la scelta dell'oscurità è una delle carte vincenti giocate da Argento che ambienta la storia in una città imprecisata con le fattezze di Roma e Torino, la scena iniziale in cui Hammings dialoga con Lavia è girata in uno degli angoli più noti nel centro del capoluogo piemontese ed è esattamente li che assistiamo con loro all'aggressione della medium che ha percepito il male fra il suo pubblico, c'è ancora una volta il marchio distintivo delle prime opere di Argento che pone lo spettatore nella condizione del protagonista mentre immagazzina un particolare percepito dagli occhi ma non dalla mente, l'indagine e la ricostruzione di un misterioso misfatto del passato parte da questo assassinio per cui l'improvvisato detective Mark prova una crescente curiosità spinta dal desiderio di scoprire la verità.

David Hammings è bravo ad esprimere la sua ingenuità e la paura nel muoversi in un campo inconsueto per il suo personaggio visto che è un pianista di professione e quindi un carattere pacifico non abituato alla lotta tanto da perdere a braccio di ferro con la Nicolodi che è invece una giornalista e lo aiuta nella ricerca della verità usando i trucchi del mestiere.

La musica dei Goblin ha fatto epoca e sostiene la tensione con puntualità e pathos ma giunto a questo punto devo affrontare la logica del film che è veramente inconcepibile: non si capisce né da un lato la completa passività della polizia per nulla presente nell'indagine se non nel primo finale né l'assoluta inattendibillità delle azioni del killer che scopre dei frammenti di indagine praticamente leggendo nella sfera di cristallo, oppure aveva il dono dell'invisibilità e Argento non ce lo ha fatto presente; il suo talento visionario è però efficacissimo quando descrive le uccisioni irritanti  delle sue vittime: le dentate di Glauco Mauri fanno venire l'irritazione alle gengive solo a guardarle e la maggior parte delle scene cariche di suspance sono dominate dall'oscurità o quanto meno riprese in un luogo chiuso con poca luce, con la presenza ossessiva di oggetti macabri come bambole appese per il collo o quadri inquietanti come nel corridoio della medium.

Il contrasto grave sta proprio nell'aver curato la regia ottimamente per produrre la paura trascurando in maniera così becera la logica che lega i passaggi dell'intreccio giallo.

Mi concedo una gaffe extra e molto personale che riguarda la morte di un personaggio secondo me ben caratterizzato dal suo interprete ma nel momento in cui viene trascinato dal camion mi scatena una risata maliziosa con il suo frignare da moccioso tormentato.

Resta un film epocale che ha fatto conoscere Argento anche fuori dai nostri confini e ancora oggi ha il suo fascino perverso.

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