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Thor: The Dark World

Regia di Alan Taylor vedi scheda film

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La recensione su Thor: The Dark World

di lussemburgo
8 stelle

La gestione drammaturgica e narrativa di una divinità presenta indubbi problemi ontologici e metafisici. Ma all’epica della tradizione letteraria, con il racconto delle avviluppate vicende di uomini e dei e dei loro incrociati destini, la Marvel preferisce la via del fantasy avventuroso con connotazioni vistosamente fantascientifiche. Sin dal primo capitolo, il Thor cinematografico nasceva privo della classica doppia identità supereroica e se ne tralasciava l’alter-ego umano Donald Blake; la sua natura divina veniva mitigata con una più accettabile condizione aliena, umanoide e potenziata ma convenientemente extraterrestre. Il secondo capitolo privato, dopo il passaggio tra i Vendicatori in The Avengers, sottolinea prepotentemente l’appartenenza dell’eroe ad una razza estranea alla Terra e sposta l’intera vicenda in una dimensione che non si vuole affatto mistica ma da space opera, con battaglie siderali di navette e astronavi, contrapposizioni di entità aliene su pianeti lontani e spazi oscuri.
La ridefinizione e la variazione del personaggio sono sensibili anche nella stessa staffetta registica, con la sostituzione di Branagh e dell’aura shakespeariana conferita ai personaggi con l’opzione più nettamente fantasy di Alan Taylor, regista soprattutto televisivo e artefice di quasi la metà degli episodi del Trono di spade. Non si tratta di un drastico cambio di registro ma della ricerca di una sintesi tra meraviglia e mistero che contemporaneamente potenzi l’umanità latente dei protagonisti secondo la norma della serialità televisiva americana che pone al centro del racconto il personaggio e la sua complessità. A dispetto del fulcro extraterrestre della narrazione, con la lotta per il dominio di un’entità che conferisce il potere di gestire il destino dell’universo (nell’accezione norrena dei nove mondi contigui e lontani), nel film infatti trovano maggiore caratterizzazione i comprimari umani, assieme ad una certa quotidianità delle vicende, sia per l’ambientazione spesso domestica (una colazione in casa con Thor o un viaggio nella metro) che per l’uso discreto dell’umorismo, fonte di un ridimensionamento su connotati e contesti comprensibili dell’eccezionalità fantastica dell’avventura.
Ne risulta quindi un film di grande perizia tecnica, con in­serti brillanti equilibrati e attenzione alle dinamiche interpersonali, non solo interspecie (Thor e Jane Foster), perché nell’improbabile collaborazione del dio del tuono col terribile fratellastro, dedito all’inganno, il personaggio di Loki acquista infine una dimensione più articolata e interessante rispetto al ruolo di costante deuteragonista capriccioso e invidioso che sinora gli era stato riservato. Senza tralasciare l’ambito tragico, consono per gravità ai toni aulici di Asgard e alle dinamiche di un regno invaso dal nemico e lacerato da una lotta intestina. Se Shakespeare rimane sullo sfondo, la tradizione britannica viene recuperata altrove perché, dopo il Nuovo Messico, le avventure del figlio di Odino si trasferiscono in Inghilterra con svariate e sottili allusioni al Dottore della BBC, un alieno tremendamente quotidiano anche per la sola persistenza televisiva, con la sostituzione del cacciavite sonico con il più virile Mjöllnir e abiti più adeguati ad un vichingo, mentre il TARDIS diventa il luccicante bifrost e sotto le fattezze del luciferino Malekith si nasconde il nono Doctor Who, Christopher Eccleston.
Coacervo di tv e cinema, di tragedia e commedia, di fantasy e sci-fi, il secondo Thor si vuole più decisamente umano anche per il coinvolgimento diretto della dottoressa Jane Foster che, nella trasferta asgardiana, importa un punto di vista terrestre nella città dorata. Si sottolinea inoltre il reciproco affetto tra la donna e lo pseudo-dio alieno, nonché la vicinanza tra questi e gli uomini, dei quali si dichiara difensore a scapito del trono regale che gli spetterebbe. Un supereroe di origine extraterrestre col mantello rosso si fa il paladino della razza umana, con tutte le conseguenze e ironiche convergenze fumettistiche che comporta la contrapposizione concorrenziale di cine-comics tra Dc e Marvel.

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