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Saint Laurent

Regia di Bertrand Bonello vedi scheda film

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La recensione su Saint Laurent

di EightAndHalf
9 stelle

"Ho lottato per l'eleganza. Per l'eleganza e per la bellezza".

E così fa il Saint Laurent di Bertrand Bonello, scarnificando la propria struttura interna per giungere alla radicale, profonda, esplosione della mise en scène.

 

Léa Seydoux

Saint Laurent (2014): Léa Seydoux

 

Yves Saint Laurent si presenta in un albergo, all'inizio degli anni Settanta, richiedendo una camera su prenotazione a nome Swann. Da lì, decide di concedere un'intervista. E' il grande stilista di un'epoca che faceva dell'arte il lusso indipendente di chi ci sapeva fare, e il metro di giudizio di qualunque cosa, fino alla più immonda e bassa, underground. Saint Laurent guarda il mondo tramite il filtro delle droghe che assume, delle ispirazioni che lo raggiungono tramite farmaci, delle persone che lo circondano, che sa amare e disprezzare con una facilità degna di chi è particolarmente, unicamente, attento alla superficie, all'apparire delle cose. La bellezza delle immagini di Bonello è ovviamente la bellezza del mondo di Yves Saint Laurent. Gli interni sfarzosi, esagerati, di stile ben preciso e di periodi storici sempre ben segnalati; i vestiti ogni volta diversi, lussuosi e flessuosi; i volti sorridenti/gaudenti/malinconici/annoiati di lui e dei suoi partner, delle sue migliori amiche, delle sue stiliste costrette a sottoporsi a un duro trattamento di bellezza. Una lotta per la forma che può solo sacrificare il contenuto, il progredire storico-cronologico delle cose. Yves non può realizzare l'abito Andy Warhol perché deve realizzare l'abito "Saint Laurent" per eccellenza. Deve mettersi in mostra, uscire dall'anonimato della vita non celebre. Ama la fama, e deve diventare famoso, ché allora la fama era la forma d'arte più riconosciuta. Andy Warhol lo ritrae, nel suo volto scavato dall'accidia e dall'assuefazione allo scorrere quotidiano delle cose, dei colori, degli ambienti, delle situazioni. E Yves, lavorando, disegnando, non fa altro che ritrarre se stesso, ridipingersi, svuotandosi. Rappresentandosi. A volte rendendosi conto di come si sta, lentamente, autodistruggendo ("voglio smetterla di guardare me stesso" dice guardando un vestito da lui disegnato). All'inizio appare interessante un piccolo quadro che gli viene regalato e che rappresenta con umiltà una camera vuota, con un letto: viene voglia di entrare nel quadro. A poco a poco il contenuto perde di importanza, la storia diventa pretesto, gli anni scorrono senza continuità di sorta, né tramite ellissi, e tutto il tempo appare compresso "dentro l'inquadratura": i quadri diventano astratti [Mondrian, Rothko, tutti acquisibili tramite denaro come se Yves fosse un novello cronenberghiano Eric Parker] . E l'immagine si disperde, si ripete, si frantuma in riquadri, fa intrufolare lo spettatore in uno scorrere cinematico che non è cronologico né di coscienza, ma è il tempo dell'immagine, della pellicola, del modo più elegante in cui far apparire le cose.

 

Gaspard Ulliel

Saint Laurent (2014): Gaspard Ulliel

 

Ma più elegante non vuol dire più facile, più ottimistico. Anzi, ciò che si guadagna in bellezza si paga necessariamente in umanità. Yves Saint Laurent diventa una parvenza di essere umano, fluttuante, dalla presenza fumosa, inessenziale (alla fine, dei suoi colleghi non lo vede più nessuno, e non si presenta più al lavoro, e alle presentazioni), un Dorian Grey al contrario, che ha sacrificato il suo lato più umano per una rappresentazione, per ciò che gli altri vedono, e che è - appunto - bellissimo, ma triste. Il suo è tutto un mondo che merita di essere rappresentato, ricomprato, ritoccato. Il cane uguale comprato quattro volte (e rappresentato in un dipinto), il serpente che striscia all'improvviso nel suo letto (rappresentato come scultura), tutte le star di quel periodo storico (rappresentate in foto su un'immensa parete), e la presenza della cultura underground tramite i Velvet Underground del sottofondo. Un mondo di lustrini, un mondo-confetto, immolato nei suoi dubbi significati per il mito dell'eleganza e della raffinatezza. La bellezza, si sa, non ha necessità del tempo, e le date risultano alfine sconvolte dall'alternarsi delle sequenze finali, che saltano da un periodo storico all'altro, senza rispondere ad alcuna domanda, ma non facendo altro che portare al termine lo svuotamento definitivo della vita di Yves, che comincia a parlare più lentamente, e a poco a poco si spegne. Il tempo, ancor più che perduto (lo Swann iniziale ricorda Proust, citato pure più volte), è totalmente ignorato, e le cose hanno perso la loro anima, e sono finalmente diventate oggetti.

 

Gaspard Ulliel

Saint Laurent (2014): Gaspard Ulliel

 

Un capolavoro da guardare e riguardare, la cui lunghezza com'è ovvio collassa nell'estetica fluttuante e rigorosa, e perde qualunque senso temporale. Un film cupo, ripetitivo, in cui le voci riescono a rendere tutto sempre più invisibile, inesistente (lo scambio fra Jeremy Renier  e un uomo d'affari statunitense risulta riassunto e frammentato nella voce rapida della traduttrice che fa da tramite, vero e proprio centro della scena). Saint Laurent è un film in cui, infatti, trionfano o il silenzio o la musica, quella di quando il fotogramma si spacca diventando Mondrian, ed implodendo, facendo abbandonare a Saint Laurent la parvenza di biopic, e rendendolo piuttosto un immenso trattato di bellezza (cinematografica). 

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