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Edge of Tomorrow - Senza domani

Regia di Doug Liman vedi scheda film

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La recensione su Edge of Tomorrow - Senza domani

di lussemburgo
5 stelle

È ancora il corpo di Tom Cruise al centro di Edge of Tomorrow, secondo film di fantascienza in due anni dell’attore, con l’intermezzo di Jack Reacher peraltro scritto e diretto dallo sceneggiatore di Liman e nuovo sodale di Cruise che gli ha affidato la regia del prossimo capitolo di Mission: Impossible. Da Oblivion il film recupera una visione post-apocalittica successiva ad un’invasione aliena e la moltiplicazione del corpo dell’eroe, là clonato a sua insaputa e costretto alla reiterazione di gesti insensati per il mantenimento di uno status quo favorevole agli invasori, nella versione militaresca di Goundhogday - Ricomincio da capo di Harold Ramis, Cruise è invece moltiplicato dalla duplicazione incessante del flusso temporale che si riavvia lungo una medesima giornata allo scadere della vita del protagonista. Tra le due opere di fantascienza bellica si insinua Jack Reacher che, oltre ad erotizzare il corpo di Cruise (col punto di vista della co-protagonista femminile), lo trasforma in infallibile meccanismo di combattimento, materia da battaglia in totale sintonia con gli altri due titoli, sebbene in un registro del tutto realistico e assoggettato alle regole del thriller.

Edge of Tomorrow è quindi un capitolo successivo del percorso d’autore dell’attore, la cui figura si impone al di sopra delle qualità registiche dei singoli estensori della singola opera cinematografica. Liman, infatti, si limita a coreografare le scene d’azione sfruttando la sedimentazione nell’immaginario collettivo dei film bellici più riusciti e famosi come Salvate il soldato Ryan (per lo sbarco sulle coste francesi) o Flags of Our Fathers (ma anche il primo Captain America per lo sfruttamento ideologico e propagandistico dell’iconografia guerresca di un soldato emblematico) offrendo spazio a Cruise per plasmare un burocrate trasformato suo malgrado dagli eventi nel tipico eroe (sovra)nazionale, atto al combattimento e fisicamente all’altezza degli scontri, secondo i tipici standard dei personaggi d’azione dell’interprete. Questi si diverte a giocare contro l’immagine consueta nelle sequenze iniziali in cui il suo personaggio tenta invano di evitare il campo di battaglia per evidente codardia.

Se Brendan Gleeson (il responsabile dell’esercito mondiale) rimanda alla corporalità di un certo cinema anglosassone e gli ambienti lineari del QG degli alleati ad un’architettura fascista, gli esoscheletri e la costruzione di una squadra di burberi commilitoni richiamano il cameratismo di film di Cameron (Aliens, Avatar, Abyss), la scelta di Emily Blunt sembra voler citare altre pellicole tinteggiate di fantastico, basate sui viaggi temporali (Looper) e sulle ripetizioni obbligate alla ricerca della libertà della variabile (I guardiani del destino), mentre il Cruise iniziale pare quasi il contrappasso del politico destrorso dei Leoni per agnelli e i “mimic” alieni sembrano una versione tascabile dei Transformers.

Sia nella commedia di Ramis che nel film di Liman la ripetizione dei medesimi gesti porta alla loro progressiva trasformazione, con la conseguente evoluzione del protagonsita, e all’avvicinamento alla perfezione, di una romantica giornata finalmente compiuta per Bill Murray e alla strategica sconfitta finale dell’avversario per Cruise. L’evoluzione e il miglioramento di sé tramite la costanza della ripetizione, elementi vagamente zen e probabilmente debitori del romanzo (poi manga) giapponese di origine, costringono Edge of Tomorrow ad una costante graduale modifica del dato acquisito che, registicamente, portano alla sfida della replica variata con accelerazione degli eventi ed ellissi degli elementi già visionati e superati secondo una logica videoludica di scavalcamento di stadi successivi all’interno di un tracciato complessivo in itinere basato sull’abilità del giocatore che la stessa pratica va affinando.

Ma è purtroppo la trama ad essere un puro pretesto per la performance di Cruise, con il dominio del tempo da parte degli alieni e la momentanea perdita del controllo con l’uccisione di un elemento preminente. Per sorvolare sulle irragionevolezze della storia non basta l’adeguata costruzione di set parigini o londinesi, distrutti oppure in procinto di esserlo, o scene di battaglia piuttosto coinvolgenti poiché lo scetticismo pervade la visione e mina la partecipazione, facendone un esercizio di stile bellico abbastanza sterile e un puro veicolo attoriale, sebbene pervaso dall’eco di altre pellicole e di diversi passati cinematografici. E nella sequenza dei titoli di coda il regista recupera pedissequamente il finale del primo Bourne, con musica pop elettronica su schemi di armi ad indicare una vaga firma, oppure, soprattutto, a suggellare, forse inconsapevolmente, come auto-plagio un film costruito sulla ripetizione che, a sua volta, non fa che riprendere la trama di un altro film, cangiandone il contesto, con inconsapevole ironia metatestuale.

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