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The Wolf of Wall Street

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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riccardo III

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Wolf of Wall Street

di riccardo III
8 stelle

Dirò subito che le quattro stelle sono frutto di una sorta di media. Se avessi guardato alla regia e al montaggio, sarebbero state tre: Scorsese ha fatto a dir poco di meglio, il film è prolisso e alcune scene durano troppo (la rianimazione e il litigio tra Donnie e il suo collaboratore-corriere, ad esempio), il ritmo è molto diseguale e l'ultima parte è notevolmente inferiore a quel che precede (fatto salvo il finale). Il cast è superlativo, il tema è molto importante, la sceneggiatura, pur prestando eccessiva attenzione agli stravizi di Belfort & Co., è ottima, tutto il resto (musica a parte, forse) è di gran livello.
Inizierò con la questione che sta facendo infuriare parecchie vittime di Belfort - o parenti delle stesse - e internauti statunitensi, la "simpatia" che il film dimostrerebbe nei suoi riguardi. Che Scorsese sotto sotto abbia un debole per i delinquenti che spesso fanno bella mostra di sé nei suoi film è noto (e l'aver scelto il punto di vista dell'agente di borsa quasi completamente è stato senz'altro ambiguo da parte sua e dello sceneggiatore. Altra ambiguità, il registro del film, che è una commedia). Quello che però è detto molto esplicitamente, all'inizio con il cameo di McConaughey e alla fine con l'eloquentissimo sguardo dell'agente dell'FBI in metropolitana (oltre alla "conferenza" finale, con uno strafatto protagonista che, compulsivamente, cerca di insegnare le sue tattiche a una platea di adoranti nullità), è che gli zombie sono alle porte, e che è la stessa società americana (in Italia la situazione non mi sembra poi tanto diversa) a soffrire di una fatale adorazione per i "soldi facili", la manna che, sparsa a piene mani da qualche santone ultra-farlocco, risolverà tutto (e, molto saggiamente, lo sceneggiatore non dà a Belfort un retroterra familiare traumatizzante, la sua sociopatica superficialità è del tutto "sociale", per così dire). Qual è il motto che Belfort propina ai suoi come suo personale primo comandamento? "Voglio che risolviate tutti i vostri problemi... facendo quattrini!". Quattrini fatti ingannando gli stolti, abilità che è l'unica che Belfort acquisisca e possegga, da bravo furbo che conosce i suoi polli: i tasti da premere sono l'avidità e il desiderio di sentirsi "qualcuno" (e di sentirsi leccare il culo - e lo stesso vale per Belfort e per i suoi collaboratori). I quattrini tanto adorati e cercati vengono poi spesi "meglio" di quanto i clienti potrebbero mai fare (parole sue), secondo il più trito copione del super-ricco: yacht, macchina di lusso, vestiti firmati, casa a Malibu (perché è lì che costa di più, non perché piaccia la zona), aragoste-caviale-e-champagne (le aragoste addirittura lanciate contro il "perdente" - l'incorruttibile agente federale) e moglie-trofeo, vale a dire una stangona bellissima, compiacente e stupida (la donna è ovviamente un oggetto in quest'ottica: in fondo, il mondo della Borsa è solo una turbo-versione del caro, vecchio mondo creato dagli uomini occidentali - sfruttamento, distruzione, oggettificazione selvaggia di tutto e di tutti/e, nullità emotiva, egotismo folle. In ufficio, a parte qualche collaborazionista, che non manca mai, ci sono solo uomini). A proposito di "moglie": una fica che si scopi un po' più volentieri e che la pensi (si fa per dire) allo stesso modo del suo "signore" va sposata, con un "matrimonio da favola" (la frase fatta è ovviamente del nostro eroe). E vanno fatti anche dei figli, di cui non occuparsi mai. Belfort e i suoi odiano quella che chiamano "vita di tutti i giorni" - se stessi e gli altri - e quindi passano la loro esistenza in una corsa ad accumulare e a sfondarsi di sostanze stupefacenti (o peggio che "stupefacenti", direi): stupenda, in questo senso, la scena dell'ultimo litigio tra Belfort e la moglie e in particolare la sua reazione alla richiesta di divorzio. Come va a finire tutto ciò? Con la punizione del reprobo? Macché. Due anni in un carcere che somiglia più a un country club che a un penitenziario, previe sostanziali "soffiate" sui colleghi, tra cui ci sono pesci ben più grossi di lui si badi bene, e con annesso successivo tradimento da parte del delfino, Donnie Azoff, la classica figura viscida e ambigua (e, sospetto, un omosessuale "velato" - certo l'attrazione verso Belfort è notevolissima -, che ovviamente nasconde con la massima cura un orientamento non conforme allo stereotipo).  Per poi, come si è già detto, ritornare all'antico tutt'altro che pentito, solo un po' più sobrio per non farsi venire un infarto e poter continuare a spargere il proprio veleno, annunciato trionfalmente da una figura ancora più insopportabile (interpretata, guarda caso, dal vero Jordan Belfort). Tutto questo accadeva più o meno vent'anni fa e, a giudicare dalla sentenza di ieri in favore della JP Morgan nell'affare Madoff, non è cambiato quasi nulla, anzi. E se nulla di nuovo si dice forse in questo film, è pur sempre qualcosa che meritava di essere detto.

Cosa cambierei

Oltre ai problemi già riportati, la scenetta alquanto folkloristica con gli ufficiali della Marina italiana (ci mancava solo Funiculì Funiculà e poi eravamo a posto).

Su Martin Scorsese

I bei tempi sono lontani, il regista ha passato i settant'anni e si vede. Dovessi pensare alle scene memorabili in termini di regia in questo film, me ne verrebbe in mente sì e no una. I grandi talenti (rivoluzionari) abitano altrove.

Su Leonardo DiCaprio

Che sia un grandissimo attore dovrebbero saperlo ormai anche le pietre. Che sia molto espressivo, che abbia acquisito una dialogue delivery da Old Vic, che sia un fior di ballerino (scena della festa di matrimonio) e che incidentalmente sia molto portato per le lingue (mormorio compiaciuto da parte del pubblico francese alla perfetta pronuncia di "ça dépend", durante uno dei dialoghi con il transalpino Jean Dujardin), è pure assodato. Ma c'è una novità (relativa: già in "Buon compleanno Mr. Grape" se ne aveva un assaggio): la recitazione fisica, da mimo, nella scena - già citatissima online - della pseudoparesi provocata da un'overdose di pillole avariate. Contorcimenti, rotolamenti, recitazione di un piede affannato nell'aprire una portiera e quant'altro, con il risultato di una platea con le lacrime agli occhi. Sul versante della recitazione più "tradizionale", ricorderò una scena molto à la DiCaprio: la lezione ai colleghi sulla maniera ottimale di fottere i clienti con, da una parte, le battute e la voce che dicono una cosa e le espressioni del viso (e, soprattutto, i gesti) - entrambi esilaranti - che ne dicono un'altra. Come al solito, DiCaprio ha compreso il personaggio nel modo più minuzioso (e finisco con un momento tutt'altro che eclatante, in un ruolo molto sopra le righe come questo, che dimostra perfettamente la sua sottigliezza: il tono di voce molto piatto ed esattamente uguale nel dire prima, di essere dispiaciuto per aver tradito la moglie; poi, di aver preso in casa l'amante dopo due giorni scarsi - ergo, il personaggio se ne frega totalmente dei sentimenti altrui). Non spero nemmeno quest'anno nell'Oscar, dato lo scandalo degli ultimi quattro anni, in cui il nostro ha fatto miracoli ed è stato sistematicamente ignorato. Spero solo che torni a recitare presto.

Su Jonah Hill

Eccellente spalla, i duetti con DiCaprio e le scene con la masnada di dementi che formano la sua "corte dei miracoli" sono splendidi.

Su Margot Robbie

Bravissima.

Su Matthew McConaughey

Cameo geniale, interpretato molto bene. Evidentemente ha imparato a recitare.

Su Rob Reiner

Ruolo alquanto inutile, ma splendida recitazione nella prima scena.

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