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Don Jon

Regia di Joseph Gordon-Levitt vedi scheda film

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La recensione su Don Jon

di scapigliato
8 stelle

Per la serie “scopo solo io”, Joseph-Gordon Levitt ci racconta la storia di ognuno di noi, anche se non tutti noi siamo Joseph Gordon-Levitt. Il film non è perfetto. L’ex adolescente perturbante di Mysterious Skin (2004) è ormai un trentenne piacione che sa bene quanto può il suo corpo e la sua immagine in termini di intenzioni voyeuristiche e ossessioni scopiche, ma involontariamente – o anche volutamente – nella sua prima opera da regista e sceneggiatore inciampa su limiti teorici e linguistici che fanno implodere buona parte dell’intenzione originale.

Con al centro il guilty-pleasure della dipendenza videopornografica, il Don Jon del titolo – che starebbe per Don Giovanni, mito immortale e plurimpiegato dalla cultura moderna per raccontare limiti, eccessi e piaceri della lussuria – vive in un mondo tutto suo all’interno della quale ciclicità, il giro in macchina, il pranzo in famiglia, la messa, la palestra, il porno, la discoteca, la scopata, il giro in macchina, il pranzo in famiglia, la messa, la palestra, il porno, la discoteca, la scopata, il giro in macchina, e così via, irrompe il presagio di una svolta epocale impersonato da una Scarlett Johansson dalla carica sessuale esplosiva a cui non si può dire di no. Ma altri interrogativi attendono Don Jon lungo questa destabilizzazione esistenziale, e si chiama Julianne Moore.

Se il film implode su se stesso, vanificando l’azzardo iniziale della compulsione sessuale fine a se stessa e della dipendenza videopornografica, per mancanza sia di una vera teorizzazione del piacere sia di un corrispettivo immaginario – in un film che parla di sesso, anche se buttato sulla commedia, mancano scene di nudo e addirittura la copula e nuovamente consumata sotto le coperte (!) – è anche vero che Gordon-Levitt, scorsesiano nelle tematiche e nelle intenzioni, nel suo gioco agli stereotipi mette in scena lo scontro tra due mondi molto pericolosi.

Da un lato abbiamo il macho-man tutto testosterone esibito, belle macchine, copula facile, canotta bianca di ascendenza italiana su corpo muscoloso, il facile e invasato credo nella famiglia e in una religiosità posticcia, l’arroganza al volante, gli amici, la birra, la serata da tori da monta in libera uscita e così via; dall’altro abbiamo l’altrettanto inquietante mondo della mean-girl rappresentato dalla Johansson, un mondo fatto di vestiti sgargianti da vacca, da un orizzonte culturale pari a quello di una principessa dell’universo Disney composto da film sentimentali e patetici, da una sessualità da finta educanda, da un ambiente domestico e pubblico artefatto e zuccherino e da mostruosi sogni borghesi di famiglia felice.

La caramellosa ragazza che vede tutto rosa dimenticandosi che la vita è carne e sudore e che non basta sembrare esteticamente una vacca per fare politica nella sua accezione estesa – o forse i tempi moderni ci insegnano il contrario? – si scontra con il maschio alfa il cui machismo ostentato come un animale che segna il territorio è solo il segnale di un disturbo etico ed esistenziale nato dal trauma dell’ansia di prestazione dell’uomo moderno.  Il machismo è l’estetica del fascismo, e il personaggio di Don Jon crede che la vita sia solo carne e sudore, dimenticandosi della verità delle cose di cui non dispone più delle immagini per riconoscerla. I due termini quindi si incontrano e si scontrano, incapaci di sintetizzare le loro patologie sociali e così filtrarne le tossine.

Il poco esaltante quadretto che Gordon-Levitt fa di queste due tipologie sociali, oggi purtroppo imperanti, è il pregio del film. Film che poi si adagia e lascia la scabrosità del suo argomento alle edulcorazioni sentimentali di una nuova vita, una nuova musa, una caduta e una redenzione, privando una rappresentazione della pulsione/ossessione sessuale qual è Don Jon degli elementi visivi necessari a tale rappresentazione. Privazione che coinvolge anche l’aspetto formale, interessante nella monotonia della vita stereotipata del protagonista, ma esile nella ricostruzione narrativa di un immaginario adeguato.

Oltre alle prove esemplari di Gordon-Levitt e della Johansson – si notino gli scarti di entrambi i personaggi quando per una o due battute smettono di essere il macho e la mean-girl sfoderando un barlume di problematicità che rende i loro caratteri più complessi e meno macchiettistici di quel che sembra – un altro punto a favore del film è la rinuncia al patetismo dell’amore facile come antidoto ad una vita fatta di compulsioni scabrose. Invece di far scoprire l’amore a Don Jon, Gordon-Levitt conferma la separazione tra sesso e amore, dotando però il primo di una biunivocità che lo rende superiore. Se il peccato scorsesiano di Don Jon è l’egoismo dell’atto sessuale, comprese copule varie consumate con velocità da conigli così come le masturbazioni compulsive fuori ogni logica biologica possibile, la sua redenzione è la nuova consapevolezza di un rapporto a doppio senso che permette al soggetto, nel momento in cui abbandona la sua infantile univocità, di apprezzare l’esperienza sensibile della copula attraverso la condivisione del piacere sessuale.

Il film non finisce con Jon Martello – origine italiana per il nomen omen del fallico personaggio di Godon-Levitt – che s’innamora di Julianne Moore e fanno una bella famiglia felice, come suggeriscono i fake-movie interpretati da Channing Tatum e Cuba Gooding Jr. con Anne Hathaway e Meagan Good, bensì con la rivalutazione dell’atto sessuale senza moralizzarlo. Certo, come dice Bartolini «alle intenzioni, non segue il film» e «alle parole non fanno eco le immagini», tant’è che di “fica, seghe, sborra e pompini” non abbiamo il corrispettivo visivo, immaginifico, narrativo, ma è anche vero che il film riesce a scrollarsi di dosso l’accusa di irrisolto grazie alla messa in scena della collisione tra due mondi stereotipati che annullano il piacere del giudizio critico e dell’esperienza sensibile come forma di emancipazione. Nonostante a questo sex-drama manchi l’elemento principale e discorsivamente fondamentale, ovvero il sesso e la nudità esibiti, Gordon-Levitt si autoassolve evitando di affondare quel poco di film che soddisfa le intenzioni iniziali.

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