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Dino e la macchina del tempo

Regia di Yoon-suk Choi, John Kafka vedi scheda film

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La recensione su Dino e la macchina del tempo

di OGM
8 stelle

La mamma è sempre la mamma. Anche se è un Tyrannosaurus Rex. Un mastodonte vissuto nel Cretaceo, che gli autori di questo avventuroso anime immaginano dipinto di varie sfumature di rosa, e al quale danno la voce di Melanie Griffith. Il viaggio nel tempo, la lotta tra buoni e cattivi, il paesaggio preistorico da Jurassic Park  sono ormai ingredienti classici della favola cinematografica, che qui, come spesso accade, si innesta sull’impianto della commedia adolescenziale, intorno alle figure di tre ragazzini “terribili”, curiosi ed irrequieti, e dunque particolarmente specializzati nel cacciarsi nei guai. Il potenziale dramma, però, come di consueto, si riscatta con l’aiuto della fantasia, dalle peripezie acrobatiche di Ernie (Dino, nella versione italiana), che con il suo skateboard sa compiere meraviglie, alle cervellotiche invenzioni del professor Santiago, l’eccentrico padre del suo migliore amico Max. In mezzo a loro, la piccola Julia (Giulia), la sorella minore di Ernie, interpreta il ruolo della guastafeste,  non meno determinata e creativa nel brandire il suo cellulare come uno strumento di indagine e di spionaggio, che tutto registra e rivela. Le diavolerie tecnologiche complicano la vita, offrendole però con ciò l’occasione di diventare emozionante, grazie ad incontri straordinari, inattese coincidenze, incredibili equivoci. È in quelle situazioni sorprendenti, magari addirittura paradossali, che il sentimento può intervenire per sbrogliare il pasticcio, trasformandolo in una fantastica combinazione di commoventi slanci d’affetto e  coraggiose dimostrazioni d’amore. Al lieto fine, in fondo, non si fa ma l’abitudine; esso giunge sempre come un gratificante sospiro di sollievo, soprattutto se  è il punto di arrivo di una frenetica corsa ad ostacoli in cui la suspense attinge, in parti uguali, alla tensione morale romanzo e alla spettacolarità del film d’azione. Il disegno consente di spaziare con leggerezza tra le serie questioni dell’anima e le improbabili prodezze degli eroi di cartone, mentre l’infinita malleabilità delle forme può riprodurre, in maniera inedita, la complessità del mondo reale. Le differenze diventano varietà, e quindi elementi di ricchezza, nel bene e nel male, riempiendo il paesaggio di animali colorati, dai contorni morbidi, eleganti, arruffati o sgradevolmente spigolosi. L’ambiente naturale è un caleidoscopio che si presta più che mai a questo gioco, soprattutto quando si presenta nella veste immaginaria della fantascienza, affidando la caratterizzazione dei personaggi alla estrosa bizzarria dei rispettivi connotati fisici. Denti, becchi, zampe, code, aculei e pennacchi popolano il panorama di sofisticate ed adorabili stranezze, rendendo quei pupazzi “alieni” più vivi e parlanti che mai. Sono l’iperbolico traslato dei fenomeni umani, con l’aggiunta di qualche incantevole licenza poetica, che vola libera al di sopra della ragione, per arrivare a toccare teneramente il cuore.

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