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The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca

Regia di Lee Daniels vedi scheda film

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Fanny Sally

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La recensione su The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca

di Fanny Sally
7 stelle

Ispirandosi a un articolo apparso nel 2008 sul Washington Post in cui si riportava la straordinaria vicenda di Eugene Allen, maggiordomo di colore al servizio dei presidenti d’America per ben trent’anni, il regista Lee Daniels ha adattato insieme allo sceneggiatore Danny Strong questa singolare storia per il cinema, trasformandola in un sommario spaccato, tra pubblico e privato, della storia americana del secolo scorso.

 

Se la premessa parrebbe quella di un racconto di ampio respiro, in realtà ci si accorge ben presto che il vero fulcro del film è sostanzialmente il rapporto conflittuale tra due modi di vedere la conquista di pari diritti per gli afroamericani: da una parte Cecil Gaines (questo il nome dato al protagonista), ex schiavo nelle piantagioni rimasto orfano di padre ed educato a fare “il negro di casa” si conquista il rispetto e l’approvazione dei bianchi grazie alla sua instancabile dedizione al lavoro, all’onestà e alla discrezione, dall’altra il primogenito Louis disapprova questa remissione e piuttosto si lascia coinvolgere dalle idee rivoluzionarie delle associazioni che si battono per l’uguaglianza dei neri, abbandonando gli studi e finendo ripetutamente in carcere.

Le iniziative politiche dei presidenti americani in proposito, da Eisenhower a Reagan, appaiono sempre troppo tardive e inefficaci, e la vera lotta si consuma all’interno dello stesso movimento nero, le cui due ali, moderata e radicale, sono rappresentate proprio dai due Gaines, padre e figlio, che riusciranno a ritrovarsi e comprendere le rispettive ragioni solo dopo lunghi anni di incomprensioni e silenzi, grazie alla vicenda di un altro grande perseguitato, Nelson Mandela, e in seguito all’ascesa alla Casa Bianca del primo presidente afroamericano, Barack Obama (omaggio più sincero che ruffiano). I fatti salienti dei trent’anni in cui si dipana il racconto costituiscono dunque lo sfondo didascalico in cui si inserisce la graduale presa di coscienza di Cecil, tuttavia la raffigurazione dei vari inquilini della residenza signorile più famosa di Washington, è quasi intimistica e in alcuni casi sfiora l’ironia, accennando al lato più umano e meno formale (si pensi soprattutto a Lyndon B. Johnson ripreso anche sul wc con i suoi inseparabili cagnolini, o ai battibecchi tra i coniugi Reagan).

Ci sono in effetti qua e là anche inserti di commedia, che rendono meno pesante la narrazione, pur toccando momenti molto drammatici e commoventi, che la voce fuori campo, retorica per quanto comunque funzionale, tende ad enfatizzare il lavoro degli attori che è ottimo.

 

Memorabile resta soprattutto l’intensa e autentica interpretazione di Forest Whitaker, coadiuvato dall’altrettanto valida Oprah Winfrey, che impersona la moglie Gloria, donna di carattere ma anche fragile e infelice per le assenze del marito e le tensioni familiari e dal promettente David Oyelowo che interpreta il figlio maggiore; attorno a loro un cast di nomi altisonanti, spesso in ruoli minori, da Robin Williams a Jane Fonda, passando per Lenny Kravitz, Mariah Carey, Alan Rickman, John Cusack, Vanessa Redgrave, Terrence Howard.

 

Pur senza particolari guizzi e con qualche esitazione, resta sostanzialmente un film ben girato e recitato, adatto a chi predilige le pellicole di ambientazione storica e che accennino a questioni sociali.

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