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The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca

Regia di Lee Daniels vedi scheda film

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La recensione su The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca

di LAMPUR
8 stelle

Anch’io credevo poco a questo nero addomesticato. Non so perché ma immaginavo questo lento affrancarsi dalla discriminazione, una variazione

dei benalzado signor Bresidende, in un’allegra alchimia tra filmottoni come Australia e Via col vento.

Operazione alquanto fasulla, pomposa e retorica, insomma, la classica americanata buonista.

 

Poi inizia il film.

 

Ed è come se, mentre sei bello comodo in poltrona, ti sparassero in faccia (e non è solo una metafora).

 

Cominci a tifare nero (come se poi non l’avessimo sempre fatto, e pure con gli indios, i vietcong, i tibetani, gli ebrei... )

 

Ma ora il tifo è per quel nero di Cecil e sai che partendo da maggiordomo sottopagato che lotta in surplace, a colpetti di fionda maldestra, potrà arrivare dove neanche mai avrebbe immaginato: alla Casa Bianca, accolto da un maitre nero microchippato di bianco (secondo me aveva nascosta una protocamera iperbarica, stile Michael Jackson...)

 

Forest Whitaker incarna squisitamente soggezione, sagacia ed entusiasmo, ed anche quell’impotenza e quella fiducia incrollabile (“vorremmo avere stipendi e promozioni equiparate a quelli dei bianchi, signore”).

La goccia cinese, il piccolo passo per volta, a costo di perdere di vista la famiglia, la moglie e i figli, a costo di perdersi di vista, a costo di sembrare invisibile di quell’invisibilità che tanto piace ai bianchi mentre li servi, in impeccabili guanti bianchi, senza fare il minimo rumore.

 

Il negro di casa.

 

Un altro negro invece, il figlio maggiore di Cecil, preso a mazzate da baseball ed a sputi in faccia, ce l’abbiamo per tutto il film, per quanto edulcorato da una sfilata di presidenti un po’ naïf forse, ma mai completamente “elementi d'arredo in finta pelle”, specialmente i Johnson isterici e guerrafondai, i Nixon ubriachi ed i Reagan tignosi sulle loro idiote prese di posizione. Non c’era bisogno anche della Corea, di Guantanamo, di Cermis o delle torri gemelle tirate giù dalla Cia.

L’occhio che gli americani chiudono spesso sulle loro porcate (come pure sottolineato alla fine), sullo schermo ci è stato tenuto sempre bello aperto

 

Ed il tutto alternato ai minimalismi di Cecil, che lucida scarpe e posate ed silenziosamente instancabile serve da bere e si adopera.

E seppur in assorta quiete, con un lentissimo progredire, da quel cotone insanguinato è giunto fin dove si decidono le sorti del mondo, senza spintonare, senza urlare, senza pretendere.

 

A passettini infinitesimali. Quella politica del confondersi ed amalgamarsi senza strappi, in graduale contaminazione e reciproco apprezzamento, può funzionare; e funziona secondo le aspettative di Cecil, meno per quelle del figlio, didascalico Black Panther, che i passetti li vorrebbe molto più veloci, ed al quale rode molto fare il negro pestato e sputato in faccia.

 

E mentre il negro di casa persegue diligentemente la via della convenzionalità, dell’adeguamento, del guadagnarsi rispetto con la propria paziente efficienza, il figlio guarda in faccia l’America razzista, si prende per compagni odio e galera ma piccona le coscienze e scuote le masse.

 

Due atteggiamenti che divideranno padre e figlio impegnati a perseguire entrambi l’indipendenza, la libertà e l’autonomia

 

Se non ci siamo sentiti presi a calci in faccia anche noi, come negri di razza inferiore, non abbiamo colto il messaggio, per nulla lieve, di schietta autocritica.

 

Sarò retorico. Ma The Butler ha colto nel segno.

 

Infatti niente candidature all'Oscar e niente Golden Globe.

 

Ma dove vogliono arrivare 'sti negri?

 

 

 

 

 

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