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The Counselor - Il procuratore

Regia di Ridley Scott vedi scheda film

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La recensione su The Counselor - Il procuratore

di sev7en
8 stelle

Un avvocato, ambizioso quanto volutamente ingenuo, cerca la svolta con il business della droga finendo travolto dalla fatalità del caso che lo conduce per mano in un tunnel senza più via d’uscita...

Lord Blade Runner, al secolo Ridley Scott, dopo il flop planetario di Prometheus torna sulla Terra per un lungometraggio dal cast stellare ed una sceneggiatura partorita dall’immenso Cormac McCarthy, qui come in nessun altro film, ostaggio di una critica divisa tra guelfi e ghibellini.

La storia è ambientata nel Messico e punta i riflettori su quella che potrebbe essere “normale amministrazione” nel “Cartello”, dove “la casualità non esiste”, dove “se manca qualcosa vuole dire che speri ritorni… ma non ritorna mai niente”, dove “la verità non ha temperatura”. Un avvocato, un “figlio dei fiori” Michael Fassbender, accetta di lavorare con un suo cliente, Reiner (Javier Bardem, lampadato e sofista) per trasportare un carico di cocaina oltre il confine messicano con l’intermediazione di Brad Pitt (nel  film, Westray, affascinante, pacato e anche lui decisamente sofista). Naturalmente in quella che sembra un’operazione da manuale una semplice, futile, coincidenza porta l’intero Cartello a credere che l’avvocato ed il suo gruppo abbiano voluto giocare sporco e quindi a decretarne il de profundis con una preda illustre, Laura, l’acqua e sapone, nonché moglie del’avvocato, Penelope Cruz.

Fin dall’inizio, però, Scott rivela il personaggio cardine dalla storia, il burattinaio invisibile che incarna per alcuni versi questo fato malefico, in grado di deviare in modo permanente il corso degli eventi con una freddezza ed un sadismo tipico dei gironi dell’Inferno: Malkina. Cameron Diaz, conturbante, turbante, imprevedibile ma dannatamente sexy, dispensa perle di saggezza da cultura Zen mentre con una mano apostrofa l’estrema unzione anche al suo fidanzato e con l’altra cerca di abbracciare qualcuno che possa ascoltarla, come il parroco in confessione, costretto alla fuga per il morbo della sua parola, tentatrice quanto peccaminosa.

 McCarthy, morto dopo morto, mostra come innescata la miccia, la detonazione finale sia solo una questione secondaria, perché prima che arrivi, la tensione e quel senso di smarrimento che in genere porta al suicidio, stringe con la forza di un boa il collo di ogni persona, soffocandola lentamente, dolorosamente, sempre più forte con quel cappio che come ultimo stadio, ruzzola a terra in compagnia di una testa. Il messaggio che traspare è comune quanto ignorato: l’avidità è una strada inesplorata che una volta su due paga ma con la stessa percentuale è in grado di portare via tutto, anima in primis. Rassegnarsi quindi a ciò che la vita offre? No, non è questo sicuramente ma di certo l’ignoranza, come “conoscenza del non sapere” non concede secondi appelli ed il nichilismo che riempie le lacrime di disperazione dell’avvocato, con quell’Hola finale stampato su un inutile DVD, sono la pennellata finale ad un’opera che ha spaccato la critica, valutata eccessivamente verbosa (ma non lo è anche la tediosità della routine quotidiana?), inutilmente sessuale (la scena iniziale è decisamente gratuita…) e dalla trama claudicante (ma la vita non lo è altrettanto, con i suoi alti e bassi?).

Un bel film che va visto da inizio a fine pensando ad ogni singola frase pronunciata perché il cinema è e deve essere anche una palestra di vita, per evitare che realtà aliene, possano sorprenderci e condurci, per mano, lungo strade inesplorate…

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