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The Counselor - Il procuratore

Regia di Ridley Scott vedi scheda film

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La recensione su The Counselor - Il procuratore

di EightAndHalf
7 stelle

La visione di The Counselor è attraversata tutta da un perenne stato di perplessità su cosa si stia osservando e su quanto tutto questo vada preso sul serio. Lo stupore è sicuramente tanto per chi, come scrive, scopre solo grazie ai titoli di testa (successivi a una ottima scena erotica fra Fassbender e la Cruz) che la sceneggiatura è di Cormac McCarthy, e già questo si configura come barlume di speranza per un film che, dalla pubblicità e dalla scelta del cast, sembrava costruito esclusivamente intorno alle sue star (le presenze notevoli sono almeno cinque, dai due sovracitati alla Diaz, da Brad Pitt a Javier Bardem), e che in questo senso sembrava annunciarsi molto commerciale ed innocuo. Tutto quanto sbagliato. La perplessità che percorre l'intera pellicola è anche riguardo la storia, tutta dialoghi e poca azione (e quando c'è è sanguinolenta, immediata, brutale), un puzzle che pezzo dopo pezzo si complica, sfigura se stesso e, come se non bastasse, aggiunge un tassello di cinismo in più ogni scena che passa. McCarthy, accompagnato dalla regia di Ridley Scott (che torna ad ambienti già conosciuti, ma con uno sguardo nuovo e che non gli era poi tanto familiare, visto che il deserto di qui è sicuramente diverso da quello di Thelma & Louise), dipinge un'umanità brutale, disumana, ritratta nella caccia quasi programmatica e accecata di sempre maggior denaro per accontentare una sempre maggiore avidità (più sgraziati dell'"eccitante" inseguimento degli amatissimi felini di Bardem e della Diaz a discapito di povere prede indifese), e neanche la felicità di pochi momenti di intimità con la propria fidanzata sembra promettere davvero, al protagonista senza nome, un futuro migliore, se non accompagnato da un ingente guadagno (chiaramente illecito) e quindi da una vita che, sotto sotto, rappresenti il lusso più sfrenato. D'altronde i soldi già il procuratore ce li ha, e certo non può dirsi scontento di una Cruz come al solito splendida e sensuale ma, diversamente da altrove, poco considerata dalla sceneggiatura e relegata a un ruolo minore, tra i protagonisti sicuramente quello meno interessante, quello della vittima prima di tutto dell'ambizione irrazionale del fidanzato, e poi degli stessi che cacciano il fidanzato. Il motore dell'umanità è un motore immobile, e sicuramente non è Dio (quello in cui la Cruz crede, ma che Cameron Diaz si diverte a provocare), ma un'ingordigia senza freni che non può essere dissociata da una continua sete libidinosa (indimenticabile ed esilarante la scena in cui, letteralmente, Cameron Diaz fa sesso con la Ferrari gialla di Javier Bardem). Da McCarthy ci si può benissimo aspettare, dopotutto, un'inquadratura esistenziale assolutamente pessimistica, che era stata adatta ai fratelli Coen (No Country for Old Man) e che qui si tinge di un'ironia ancora più caustica perché ancora più crudele e sanguinolenta. Senza rinunciare a certe fantasie narrative (strumenti di tortura, presentimenti inspiegabili, accostamenti di personaggi non troppo spiegati, come l'incontro in piscina fra le due protagoniste donne) e a cadute momentanee e poco gravi nella retorica (certi personaggi, improvvisamente, cominciano a filosofare, dicendo cose giuste ma divagando giusto un tantino), Scott dirige con mano ferma qualcosa di già visto ma sicuramente di destabilizzante, di sincero e di davvero sgradevole, perché fra teste mozzate più che in Sleepy Hollow e una macelleria finale imbattibile, la storia non segue un percorso lineare, prende la strada più lunga, si diverte a rigirare la frittata, per giungere infine a vette altissime di cinismo, cattiveria e interesse morboso nei confronti di personaggi distanti, giustamente incomprensibili, fantasticamente disturbanti. Il tutto venato di un'ironia violenta da far rizzare i capelli. L'unico fattore che stona è che tutta questa cattiveria è fin troppo consapevole di se stessa, e si manifesta in maniera evidente mozzando sul nascere una possibile maggiore spontaneità, sia stilistica che narrativa. Il risultato però certo non è allegerito da simile pecca. La Diaz è magnetica quanto caricaturale, Fassbender offre una grande prova di uomo virile sempre "più distante dalla realtà" e Bardem e Pitt, dentro il mondo del traffico di droga che inchioda loro come Fassbender in un vortice di morte e distruzione, gigioneggiano allegramente senza guardare in faccia a nessuno. Decisamente curioso.

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