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The Counselor - Il procuratore

Regia di Ridley Scott vedi scheda film

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La recensione su The Counselor - Il procuratore

di scapigliato
8 stelle

L’incontro tra il più grande scrittore americano vivente e l’autore di alcuni dei titoli più importanti della storia del cinema è un affresco dolente, mostruoso e animalesco del mondo occidentale. Il limite di The Counselor è paradossalmente la sua componente cinematografica. Il testo è grandioso. I dialoghi sono eccezionali, volteggiano nell’aria come acrobati e saltano vertiginosi dal filosofico all’esistenziale fino al realismo più crudo e pragmatico; mettono alle corde i massimi sistemi e zavorrano i sogni americani più facili; prendono a pugni l’orizzonte delle aspettative più canoniche e seppelliscono nel deserto ogni sorta di prevedibilità.

The Counselor è, in definitiva, un film superfluo. La regia è solida e senza sbavature, fin troppo perfetta e calibrata, tant’è che l’immaginario evocato da Ridley Scott implode nella propria patinatura, mentre gli attori sembrano tutti trattenuti, stanchi, prevedibili nelle loro performance. Se escludiamo l’ultima mezzora di Fassbender e quella che è la vera star del film, ovvero la donna-ghepardo di Cameron Diaz, mai così bella, mai così fica, mai così brava, nessuno degli attori riesce a staccarsi dallo sfondo. Nemmeno un attore di razza come Brad Pitt, che ci concede un’unica fantasia attoriale nell’ultimo incontro con Fassbender, sa stupire come suo solito. Lo stesso dicasi per Bardem, che gigioneggia senza anima, e per la Cruz, fantastica sotto le lenzuola, ma per il resto non pervenuta. E tutto questo perché? Perché The Counselor è tutto testo. Un film eccezionalmente verboso, un piacere per l’udito. Dopotutto la mano di Cormac McCarthy si sente ed è imprescindibile per la bellezza del film, che è appunto superfluo. Le immagini non ci servono, abbiamo già la prosa di McCarthy. E ci basta.

Il distacco tra il testo e le sue immagini si consuma chirurgicamente senza allontanarci irrimediabilmente dalla storia e dal suo coinvolgimento sensibile, che è quello proprio della settima arte. Ma con un testo perfetto come questo, dove dialoghi e ambienti – tra cui spicca il Messico ricreato in Navarra nel monumento desertico de Las Bardenas Reales – moduli narrativi e figurazioni archetipiche, temi e motivi di sana resa palpabile si amalgamo precisi e puntuali al ritmo canicolare che hanno tutte le storie di McCarthy, ben poco possono regia e attori se non riportare quello che già di grande e di enorme è già detto nel testo.

A questo proposito, tra le tante tematiche meccartiane che si rintracciano in The Counselor – una su tutte l’ambientazione marginale e frontaliera del sudovest americano che dal western alla narco-story resta il perfetto scenario per il dramma e la tragedia borghese dell’uomo moderno che ha perso la propria istintualità primitiva conservandone solo l’aspetto ferale e cannibalico – quella che innerva maggiormente tutto l’impianto contenutistico del testo è il disfacimento del corpo o il corpo sfatto, smembrato, corrotto dei vari personaggi.

Nonostante la perfezione fisica di ogni interprete, aiutata dagli abiti precisi, eleganti, puliti che li differenziano dalla feccia brutta e sporca dei narcos messicani, i loro corpi cinematografici tendono al proprio disfacimento: dalla corruzione morale alla morte fisica fino all’annientamento psicofisico, rintracciabile anche nella corruzione degli ambienti e degli abiti in cui sprofonda Fassbender nell’ultima mezzora del film. La sua discesa infernale è emblema della fine del proprio corpo. Michael “bella scopata” Fassbender perde tutto il proprio mondo, lo corrompe con le proprie mani, lo manda al patibolo guardandolo negli occhi. Il suo corpo e tutti i suoi accessori testimoniano la fine di tutto ciò che era e che voleva essere: un bel corpo in un mondo perfetto fatto di lusso e comodità. Vi ha trovato solo morte e distruzione.

Caso a parte è la donna-ghepardo interpretata da Cameron Diaz. Il suo corpo non è corrotto né si corrompe, tutt’altro. È l’ibridazione fisica tra la donna e il ghepardo che diventa la cifra caratteristica del suo personaggio. Fisicamente perfetta e intrisa di erotismo come mai prima, Cameron Diaz sfoggia una pettinatura maculata che ricorda il manto bicolore del ghepardo, suo animale totemico, veloce e predatore, di cui alleva due esemplari in casa propria, come fossero eleganti levrieri di compagnia. Pettinatura che fa coppia con il grosso tatuaggio maculato che porta sulla schiena e che la collega direttamente al felino africano, alla sua velocità e alla sua voracità. La sfinge, resa con assoluta perfezione attoriale dalla Diaz, collega con il suo dualismo il mondo umano direttamente con il mondo naturale, riportando ogni questione e pratica civilizzata ad un livello primitivo, dove la feralità dell’animale predatore è il plus valore di un personaggio amorale, nato e cresciuto nel segno del comando e della manipolazione, figlio di se stesso e cresciuto nella giungla. Un personaggio che fa delle pratiche istintuali la propria vocazione nel mondo. Dal delitto all’orgasmo, l’istintualità predatoria dell’essere umano rivive senza freni nel testo espressionista di McCarthy e si concretizza nel corpo zooantropico della donna-ghepardo che ci regala una scena di grande erotismo, difficile quanto facilmente banalizzabile, resa invece perfetta da Scott nella sua traduzione in immagini coadiuvate dal testo, of course, in voice-off – la Diaz si scopa letteralmente la Ferrari gialla di Bardem.

Il corpo mostruoso, la sua corruzione, le sue pratiche fisiologiche, dal cadavere de Il Guardiano del Frutteto (1965) alla donna-ghepardo di The Counselor, passando per la corporalità necrofila di Lester Ballard e dei suoi cadaveri in Figlio di Dio (1974) fino al bianco, grasso, pachidermico, glabro e calvo giudice Holden di Meridiano di Sangue (1985) – il Moby Dick di McCarthy – e tutti gli altri demoni barocchi umanizzati dal maestro tennessean nel suo vasto umanesimo americano, è il corpo dolente del ventre molle di un paese, l’Occidente tutto, che nella religiosità del successo e della ricchezza ha perso la bellezza della verità, rievocata da un testo che per contrasto ne evidenzia la corruzione.

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