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Nymphomaniac

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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La recensione su Nymphomaniac

di logos
9 stelle

La sconfitta reciprocca di Dioniso e di Apollo come manifesto del nichilismo assoluto

 

Joe la donna, Seligman l’uomo. Anche qui, come in Antichrist, un rapporto esemplificativo di due mondi, quello della sessualità e della cultura. Sessualità e cultura colti ciascuna nella loro assoluta esclusiva totalizzazione per cercare di dipanare, analiticamente, le conseguenze che scaturiscono dal loro assoluto punto di vista. Certo, Nymphomaniac non è soltanto questo, in esso si dispiega una costellazione di tematiche che possiamo dire rappresenti una vero e proprio magazine della sessualità e della cultura.

 

 

La sessualità di Joe viene rielaborata nel suo racconto che offre all’intellettuale Seligman in pensione, il quale le si presenta come uno specchio, che riflette, nella forma apollinea della rappresentazione-finzione, tutto ciò che il dionisiaco pulsionale ha da esprimere. Assistiamo dunque a un miracolo per tutto il film: dionisiaco e apollineo, a differenza di Antichrist, qui sembrano finalmente incontrarsi, cercano di ritrovarsi l’uno nell’altro, ma pur sempre nei confini della rappresentazione, in quello spazio dove tutto è concesso, ma come fatto letterario, ricostruito, secondo la sintassi della rimemorazione, che è poi un rimando anche alla sintassi del cinema, che fa sognare, emozionare, rivivere, ma soltanto nei confini della finzione, oltre i quali la vita è in atto nella sua pulsionalità. 

 

Joe la ninfomane, trovata stesa a terra ferita, viene soccorsa dall’uomo Seligman, l’uomo felice; viene invitata nella sua umile casa, adornata da libri e icone religiose, di modo che Joe, dopo tanto errare, possa raccontare la sua esistenza dannata da Dioniso, che la ha sovrastata fino al punto da lasciarla derelitta, come uno scheletro d’albero deserto su una collina rocciosa, allontanata da un mondo affettivo, famigliare e sociale che ha più volte ferito e dal quale è stata definitivamente espulsa.

Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård

Nymphomaniac (2013): Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård

 

Non c’è spazio per Dioniso in questo mondo civile, se non nella stanza di Apollo, nel quale può almeno proiettarsi nella finzione della rappresentazione. La trama, scandita in capitoli, è tutta imperniata sulla riproposizione della vita di Joe, raccontata a Selligman, che ascolta con sapiente empatia fenomenologica (e a tratti mi ricorda un po’ Jaspers, quando si interessava di psicopatologia per una rinnovata psicologia comprensiva) e intervallata da dialoghi in cui i due solitari, Joe e Selligman, in una notte intera, cercano di calibrare i loro differenti registi verbali, l’uno immediato e espressivo della sofferenza vissuta nella propria carne, l’altro, invece, raffinato e colto che sa tutto della vita, ma non la vive se non nella rappresentazione, nella quale il vissuto di lei viene trasceso in un senso universale, astratto, svuotato di tutto quell’impatto emotivo e perverso e ora colpevole che Joe pretende di essere quale esistenza vivente. Assistiamo qui a quel ribaltamento dialettico luciferino hegeliano dove la certezza sensibile del qui e dell’ora, che si dà come la più ricca, la più concreta e la più vera, perché vissuta, si trasforma in quella più povera, astratta e illusoria nelle trame del linguaggio, che dissolve, con delicatezza progressiva e intelligente, le determinazioni concrete nella spiritualità razionale del Concetto. Ma come si sa il Concetto a sua volta gira a vuoto se subdolamente non si nutre dell’esistenza vivente, se non altro per incapsularla, sussumerla in sé, anche se in questa operazione logico-mistica, come ha detto bene Marx, finisce per diventare un crasso materialismo, come di fatto, inevitabilmente, agirà Selligman, in un finale sconcertante.

 

Nel racconto di Joe, attraversiamo dunque i suoi processi formativi e distruttivi di una libido senza argine, costretta a misurarsi in innumerevoli percorsi in cui il piacere sessuale è intrinsecamente connesso con il dolore e la morte, in una coazione a ripetere della ciclicità dionisiaca dove persino il corpo vivente di Joe, alla fine, è costretto ad arretrare, come Achille nei confronti della tartaruga, secondo il celebre paradosso di Zenone che il buon Seligman non esita di ricordare alla donna Joe. Ma non è forse questo il senso di Dioniso? Vivere attraverso la morte? e se questo rincorrersi ciclico dell’eterno ritorno viene spezzato dal paradosso - e persino Joe, alla fine di tutta la vicenda erratica si proporrà di resistere con tutta la volontà a quella divinità dirompente -, è perché oramai Parmenide e tutti gli apolli della cultura che ne sono scaturiti, hanno a suon di logica contrassegnato l’immutabilità dell’essere, dimenticandosi del nulla, facendo del nulla stesso un semplice ni-ente (cfr. Heidegger, Che cos’è la metafisica).

Nella vita rappresentata di Joe, ci sono nodi che costituiscono una vera e propria Fenomenologia della Sessualità diseredata, che costantemente si sottrae alla Fenomenologia dello Spirito di hegeliana memoria, anche se il buon Seligman non rinuncia affatto, con la sua delicatezza, a invertirla nelle trappole dello spirito, perché oltretutto è un buon pescatore, sa lanciare la lenza al momento giusto per catturare i pesci, certo, ma anche l’anima di Joe.  

 

L’ infanzia di Joe, come si nota dal suo racconto, è contrassegna da una madre distaccata e da un padre amorevole, medico e amante della natura. Ma chi è questo padre, che cosa rappresenta nell’economia del film? E’ un uomo che ama le piante, di conseguenza è vicinissimo allo spirito boschivo (Antichrist) di Joe, perciò è una figura funzionale allo stesso Dioniso. E’ un medico, e come medico ha a che fare con la vita e non tanto con la cultura, la sua è per certi versi una gaia scienza. Possiamo ricordare, a questo proposito, che Socrate, prima di morire, credendo nell’immortalità apollinea dell’anima razionale, disse ai suoi discepoli di ricordarsi di dare in dono un gallo ad Asclepio, patrono della medicina, quasi per ringraziarlo della vita corporea, da cui, finalmente, ora poteva liberarsi per l’Iperuranio, la razionalità delle idee, in quel mondo dove i medici non hanno ragion d’essere, come invece accade nella vita terrena, la quale è una malattia. Questa è almeno l’interpretazione che Nietzsche nella sua Gaia Scienza dà di queste parole del Socrate morente, che incarnano l’odio che la razionalità ha in serbo per la vita animale corporea, considerata, appunto, come una malattia. Oltretutto il padre, proprio perché è un medico, dunque legato alla vita animale, non ha paura della morte, sa che vita e morte sono indissolubilmente legati; un altro aspetto dionisiaco del padre di Joe, a cui viene dedicato un intero capitolo, quello sul Delirio, è la sua stessa morte per delirium tremens, a cui viene associata non solo la figura di Dioniso-Bacco, ma anche quella di Edgar Allan Poe (scrittore degli inferi), morte che, nel suo inestricabile legame con Eros, fa letteralmente eccitare sessualmente la povera figlia Joe, nonostante, e proprio per, la sofferenza per la profonda perdita.

 

Christian Slater

Nymphomaniac (2013): Christian Slater

 

 

 

 

 

 

 

Christian Slater

Nymphomaniac (2013): Christian Slater

 

                                                                                                                    

 

Tutto ciò per l’apollineo Selligman è del tutto normale: specifica che in letteratura sono molti i casi di eccitazione di fronte alla morte o ad altri eventi traumatici, come del resto ha mostrato lo stesso Freud, il quale ha evidenziato che nell’identità adulta viene ricapitolato e conservato nell’Es tutto ciò che attiene alla polimorfia perversa della remotissima infanzia.

 

Vi sono altri spunti interessanti nell’intreccio dialogico tra Joe e Selligman: magistrale è la combinazione tra la polifonia di Bach e la considerazione di Joe, che astrae, tra i vari rapporti sessuali che intrattiene, quelli con tre uomini che costituiscono le tre parti principali e indipendenti di una composizione polifonica, assegnando a Jerôme, la parte centrale, dato che è anche l’uomo che le ha tolto la verginità da ragazzina, scatenando il ritmo matematico di Fibonacci in versione libidica. Jerôme è una figura che ritorna costantemente nei racconti di Joe: lui le ha tolto la verginità; dopodiché Joe lo incontra per caso quando è in cerca di lavoro, e lui la assume in quanto è direttore temporaneo di una ditta di cui è titolare il padre, e nonostante le avances reiterate, Joe lo rifiuta perché è presa nelle sue logistiche combinazioni sessuali, dove non c’è spazio per l’amore; infine li ritroviamo, dopo altre peripezie, coniugati, hanno un figlio, ma l’intensa attività sessuale, con reciproca intesa, è insufficiente per il bisogno libidico sempre vorace di Joe, la quale pertanto è autorizzata dal marito a continuare nelle sue avventure sessuale, con allusioni a Le onde del destino.

 

Gli eventi precipitano, perché Joe, per colmare i suoi bisogni libidici, entra nella fase masochista, mettendosi in contatto con un sadico professionista che la introduce nel piacere di sottoporsi a torture corporali, insegnandole l’arte di costruire nodi che si stringono se il corpo fa resistenza mentre si allentano se il corpo si abbandona alle percosse. Il piacere che ne prova la porta a trascurare la famiglia, ad abbandonare il proprio bambino durante la notte, che per un pelo non rischia di far la fine di quello ripreso in Antichrist, sotto la lancinante area musicale di Handel, il che porta Jerôme a separarsi definitivamente da Joe, tenendosi il loro bambino, il piccolo Marcel, il quale poi verrà dato in affidamento.

 Joe, proseguendo nel racconto, si ritrova sempre più sola e martoriata nella sua esistenza, il corpo non la sostiene più nei suoi bisogni libidici, viene esortata dalla ditta presso cui lavora a frequentare un gruppo psicoterapeuta per sessodipendenti pena il licenziamento; con un certo scetticismo segue la terapia, che consiste nel censurare visivamente tutto ciò che allude al sesso, perciò la vediamo nella sua stanza, con pareti e arredi completamente coperti da carte e nastri, con i quali ha bombato anche i rubinetti dei lavandini e altri oggetti domestici oblunghi, fino a ridursi a una condizione simile a quella del protagonista di Arancia meccanica di Kubrik, quando deve essere sedato dagli effetti distruttivi della musica classica. Alla fine, proprio quando deve fare il suo discorso al gruppo terapeutico sulle sue ottime capacità di resistenza alla sessualità, vede se stessa più giovane riflessa in uno specchio, che le ricorda con il solo sguardo che il suo destino è di essere una ninfomane e non una sessodipendente, perciò riaffermando la propria identità contro il gruppo e la psicoterapeuta, giudicata come addomesticatrice dei viventi secondo i parametri mortiferi della civiltà, si ritrova a dover fare i conti con se stessa, completamente isolata, fino a dover intraprendere un lavoro illegale per recupero crediti.

Attraverso le sue doti esperte di violenza psicologica, acquisite nella fase masochista, compie enormi successi di riscossione, e come non ricordare, a questo proposito, la pietas che prova per un debitore, potenziale pedofilo. Dopo averlo legato alla sedia, tirato giù i pantaloni, gli racconta tutte le perversioni possibili, ma in lui non si ravvisa alcuna reazione. Quasi al punto di desistere, gli rammenta un giardino, il rumore di un’altalena, e a questo punto l’organo di lui reagisce all’eccitazione, umiliandolo nel profondo della sua propria (inconscia?) pedofilia.  Ma in questa umiliazione, Joe scorge se stessa, perché vede in quella persona un diverso come lo è lei stessa, entrambi portatori di una sessualità ostracizzata dalla civiltà. Qui Trier raggiuge magistralmente l'imposibile, squarcia il tabù con una notevole grazia, senza debordare nella insulsa apologia, ma facendo esplodere il politicamente corretto, dietro cui si ripara una borghesia che ha tanti spettri nell'armadio ma che non vuole aprire.

 

 Grazie ai suoi successi, e su pressione del boss interpretato da Defoe, la nostra eroina deve ammaestrare una sua fedele succeditrice nella professione illegale, ovvero una ragazzina figlia di criminali in galera, che conduca una esistenza marginalizzata, che abbia quindi un bisogno di affetto e protezione e sia predisposta al crimine. Trovata la ragazza, educata alla riscossione, si instaura tra di loro un legame non solo sessuale ma anche affettivo. Durante le varie riscossioni, si imbattono in un debitore che, guarda caso, è proprio Jerôme. Quando arrivano all'abitazione, Joe decide che l’operazione sia eseguita dalla sua fedele compagna, la quale riesce a concordare con Jerôme un rimborso in sei mesi; la compagna deve recarsi più volte da Jerôme, ma fra lui e lei nasce un rapporto intimo, che la stessa Joe viene a scoprire. Proprio in quel momento Joe sembra essere abbandonata da Dioniso, perché inizia a provare il sentimento, quello che va oltre la sessualità, e che dona anche la sofferenza del sentirsi traditi, spiazzati, burlati nella propria dignità di donna. Aspettando al varco Jerôme, cerca di ucciderlo con un pistola, ma si dimentica di caricare il colpo in canna, e in un men che non si dica viene colpita più volte dallo stesso ex marito, e come se non bastasse la sua ex fedele compagna le urina, in segno di disprezzo, sul viso e sul corpo già martoriato. Ed è proprio lì, in quel vicolo, che viene soccorsa da Seligman.

 

Seligman ha ormai ascoltato tutta la storia, e da buon pedagogista fa comprendere a Joe che se lei fosse stata un uomo tutto quel che ha compiuto sarebbe stato assolutamente normale agli occhi di una società ancora maschilista.

Oramai sembra rientrare tutto nella normalità, Joe scopre di aver trovato per la prima volta in Seligman un amico, e la scena sembra essere davvero miracolosa, perché è come vedere un Dioniso rappacificato in Apollo. Tutto il dionisiaco di Joe sembra essere stato dissolto nella cura della parola, nell’arte della rappresentazione, nell’apollineo della rimemorazione, con un omaggio alla catarsi stessa del cinema, quale settima arte. Ma non è così, rivediamo un Selgman rientrare nella stanza di Joe, completamente spoglio della maschera asessuata che ha sempre portato su di sé, nascosta anche a se stesso, con l’intenzione di dare sfogo alla sua libido da sempre repressa. Di fronte a questo assalto, la camera da presa si oscura, il film sfinisce con un colpo di pistola, e avvertiamo i passi di Joe, la sentiamo fuggire via dal cinema, dalla sua rappresentazione, forse in cerca di un’identità propria, o forse senza più alcuna identità, senza neanche più quella di Dioniso. Il cinema così viene ribaltato su se stesso, angeli e demoni denudati, Dioniso e Apollo annichiliti, e quel che rimare è il nulla straripante, che ammanta l’esistenza di ogni singolo essere umano che va fino in fondo nel suo essere-per-sé, di sartriana memoria, senza più alcuna differenza "tra il condurre popoli o vivere in una bettola". Manifesto esistenziale del nichilismo compiuto, con la morte di Dio ma anche delle divinità pagane, e della cui morte il cinema stesso diventa la rappresentazione dell'irrapresentabile. 

 

In questo film il cast è eccellente. Charlotte Gainsbourg ha dato prova di una grandezza impareggiabile, mantenendo un rigore altamente drammatico in tutte le scene scabrose, rendendole ancora più efficaci e profonde. Lo stesso discorso dicasi per Stellan Skarsgard nei panni del dotto apollineo asessuato. La regia di Trier penso raggiunga qui un’espressione camaleontica impareggiabile, attraverso una commistione di generi senza mai perdere il filo rosso di tutta l’opera, puntellandola non solo di momenti altamente drammatici con connotazioni filosofico metafisiche ed esistenziali, con riferimenti mitologici, religiosi, musicologici, ma anche con finezze teoriche e cliniche psicologiche, in uno stile che per alcuni versi lo avvicina al cinema dialogato alla Bergman, ma spruzzando qua e là momenti ironici, grotteschi, onirici e surreali, con una varietà di musiche diegetiche ed extradiegetiche da far venire le vertigini. Un capolavoro, che per quel che mi riguarda mi ha aiutato anche a rivedere meglio Antichrist, perché in qualche modo ne è anche una versione didattica, ma senza alcuna semplificazione, anzi approfondendo le tematiche con analitica complessità.        

Lars von Trier

Nymphomaniac (2013): Lars von Trier





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