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Baby Blues

Regia di Kasia Roslaniec vedi scheda film

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La recensione su Baby Blues

di OGM
7 stelle

Può succedere anche così. Non per solitudine, non per depressione. Ma solo come frutto di un’improvvisa disperazione, unita all’avventatezza di chi ancora non conosce la vita. L’adolescenza  è un’età che uccide, se la si prende troppo sul serio. Se la si scambia per un’entrata nel mondo adulto effettuata sulla corsia del sorpasso, rimasta sgombra dopo l’uscita di scena dei genitori, assenti o troppo distratti. Per la giovane Natalia quel bambino è arrivato proprio sulla scia dell’ebbrezza di bruciare le tappe, di volere e potere, di essere finalmente donna a tutti gli effetti, senza più i limiti dell’infanzia. Antek è suo figlio, non si separa mai da lui, lo porta a spasso nella carrozzina mentre corre sui pattini, lo fa partecipare alla sua quotidianità stravagante e stralunata di ragazzina dallo spirito alternativo, che veste in maniera vistosa ed eccentrica, eppure è tanto fragile ed insicura. Natalia sa come usare l’acceleratore, ma non maneggia bene i freni. Lo si capisce dalla frenesia con cui la sua storia procede, istante dopo istante, senza curarsi della sequenza temporale, della finalità da raggiungere, delle motivazioni da cui partire. Crede che, per andare avanti, basti la voglia di farcela, a dispetto di tutto, a cominciare da quel Kuba, da cui si è deliberatamente fatta mettere incinta, e che gli piace solo fino ad un certo punto, immaturo ed inquieto com’è. Di lui, in fondo, pensa di poter fare a meno, esattamente come di quella madre-sorella, poco più grande di lei, che è sempre stata la sua rivale. Avere tutti contro, non conoscere nessuno all’altezza dei propri bisogni, può trasformarsi nel motore di una crescita che procede all’impazzata, rincorrendo un sogno sbagliato dopo l’altro, imboccando ogni possibile vicolo, pur di sfuggire all’inerzia della tristezza, al torpore indotto da quel retrogusto amaro che è il languido strascico dell’errore. Guardando sempre dritti si sbanda: Natalia perde l’equilibrio a causa del suo rifiuto di fermarsi, magari solo per un attimo, per lasciarsi assalire da un salvifico dubbio. Starle dietro è impossibile: anche l’obiettivo di Kasia Roslaniec, ogni tanto, si concede una pausa, e per qualche secondo si spegne, come per riprendere fiato, come per far riposare la vista. Il caos, per quanto allegro, alla lunga stanca. Lo spettacolo di quella arruffata disinibizione fa girare la testa. E intanto va in frantumi l’immagine della mammina affettuosa, che vive per il suo bebè, mentre emerge, in maniera sempre più netta, la figura di una donna non ancora degna di tal nome, che conosce solo il gioco: lo scherzo, anche pericoloso, nei momenti di spregiudicatezza, e la sfida, anche rabbiosa, quando la realtà si fa dura. Questo caleidoscopio dalle sfumature kitsch è la desolata cronaca di uno smarrimento: una miscela in technicolor  sbiadito, creata passando al frullatore gli eventi, le emozioni, l’iridescente spettro dei rapporti umani. La patologia che scatena la tragedia è tutta qui: un’idea improvvisata, disegnata da una mano inesperta su un muro scrostato o un vetro sporco. Un’estemporanea impronta di libertà che si concretizza in un informe graffito di dolore.  

 

Magdalena Berus

Baby Blues (2012): Magdalena Berus

 

Nikodem Rozbicki

Baby Blues (2012): Nikodem Rozbicki

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