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Il ponte sul fiume Kwai

Regia di David Lean vedi scheda film

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La recensione su Il ponte sul fiume Kwai

di scandoniano
8 stelle

Classico war movie che ha fatto la storia, specie per la straordinaria capacità del regista David Lean di dare un tocco di iperrealismo alle vicende e all’interpretazione degli attori principali.

David Lean conquista lo spettatore fin dagli inusuali titoli di testa, durante i quali la musica si fa arrembante e il sonoro ci lascia capire che qualcosa di importante sta accadendo (ovviamente fuori campo). È uno shock incredibile, che si chiarisce però fin dal primo fotogramma: nella Birmania del 1943, un plotone di inglesi è stato catturato in un’imboscata e si dirige verso un campo di guerra nipponico. Qui gli inglesi saranno costretti a costruire l’importante e strategico ponte sul fiume Kwai. Il colonnello Nicholson, che guida il plotone britannico, prende accordi con il temibile generale giapponese Saito, che della Convenzione di Ginevra se ne frega e intende a tutti i costi far lavorare al ponte anche gli ufficiali inglesi. Intanto Shears, un vecchio prigioniero americano, riesce a fuggire e, seppur dato per annegato dai compagni, si mette in salvo. Giunto in America, le sue conoscenze delle location saranno utilissime per tornare sul posto e compiere una pericolosa missione.

 

 

Una prima parte più scorrevole, in cui la psicologia dei personaggi e il gioco delle parti (da antologia il contrasto prolungato tra Nicholson e Saito) rende la visione interessante, una parte finale, quella della spedizione in Birmania, più propriamente guerresco, con strategie e tattiche in primo piano, più lenta ma anche più tesa. È tra questi due registri differenti ma altrettanto efficaci che si dipana un film dal valore assoluto, non a caso un caposaldo del cinema di guerra e vincitore di ben 7 Oscar (tra l’altro tutti i principali).

La bellezza del film sta nei colpi di scena, che cambiano repentinamente le carte in tavola, tenendo alta la tensione per tutto il film. Merito delsoggetto omonimo di Pierre Boulle, che un David Lean in stato di grazia, essenziale ed efficace, mette in scena in maniera ariosa, trovando un invidiabile mix di elementi, aiutato da due protagonisti eccellenti come William Holden e soprattutto Alec Guinness.  

 

 

Di notevole valore anche le musiche, col famoso motivetto “Colonel Bogey March” fischiato dai prigionieri che entrano nel campo ed ancora oggi memorabile, nonché la fotografia che rende ancor più spettacolari gli esterni birmani e dona un tono di verosimiglianza difficilmente toccato altrove (si pensi al ponte stesso, non ricostruito in studio ma realizzato dal vero). Il tutto fa da contorno ideale per una storia in cui il vero punto nodale è formato dal rapporto tra tutti i protagonisti. Un rapporto vigoroso, teso, che finisce per identificare il senso stesso del racconto. Il finale è drammatico e soprattutto emblematico del concetto di guerra inteso da Boulle e appoggiato da Lean.

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