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Il potere dei soldi

Regia di Robert Luketic vedi scheda film

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La recensione su Il potere dei soldi

di scapigliato
8 stelle

Il commediante Luketic riesce a confezionare un buon film là dove i fu Tony Scott e Sidney Lumet avrebbero fatto un capolavoro. A metà strada tra Nemico Pubblico (1998) e La Conversazione (1974) con una buona dose di robbery-movie vari, da I Signori della Truffa (1992) a In Trance (2013) – a proposito chissà cosa non avrebbe fatto Danny Boyle –  Paranoia, titolo originale del nostro più didascalico italiano, è un film semplice, ben oliato, che punta tutto sull’appeal del protagonista Liam Hemsworth e sulle caratterizzazioni, non proprio luciferine, di Gary Oldman e un ritrovato Harrison Ford, il migliore in campo, oltre a quella di un altro ritrovatissimo Richard Dreyfuss nel ruolo del padre del protagonista – che si mangia in un boccone ad ogni scena.

Per il resto Il Potere dei Soldi non offre spunti particolari sia a livello cinematografico che contenutistico. Mentre film come Insider (1999) o Runaway Jury (2004) mettevano alla berlina il mondo del tabacco e delle armi, cosa che farà Scorsese con il mondo egli affari in Wolf of Wall Street (2013), e mentre il Public Enemy di Tony Scott già rifletteva senza se e senza ma sulle ipertecnologie a presunta difesa della privacy, il film di Luketic è solo narrativamente ben fatto, ma poco lascia a sottotesti di natura estetica come sociale.

È una bella parabola esemplare che coinvolge un belloccio senza sale, anche se funzionale alla parte, in un excursus etico con ascesa e caduta e redenzione, senza però dotare narrazione di climax all’altezza del tipo di racconto. Anche il piano visivo non gioca nessuna carta interessante. Si registra una solo immagine degna di una certa ricercatezza formale, quando il protagonista fa il morto in piscina, ripresa a piombo, e l’acqua che da piatta e calma inizia a incresparsi per l’arrivo di un elicottero. Certo c’è una bella fotografia e una set-decoration che rappresenta al meglio il lusso dantesco in cui è caduto il protagonista, ma non basta.

È tutto materiale solo messo in vetrina, non c’è un coinvolgimento emotivo e immaginifico tra storia raccontata e la sua rappresentazione filmica. Non c’è fusione e successiva confusione tra piano narrativo e piano visivo. Solo superficialmente assistiamo ad una rappresentazione del mondo lussuoso e proibito in cui Hemsworth rischia la pelle, ma Luketic non riesce nel miracolo di rendere la forma il contenuto.

Un film che parla di telefonini che sanno tutto di noi, marchingegni ultrasottili con cui dire addio alla privacy e alla propria individualità meritava almeno una messa in scena più morbosa e ambigua, combinando tra loro significato e significante. Invece la morbosità per il lusso e il proibito si ferma al corpo di Liam Hemsworth, tra la bellezza virile e minacciosa di Brad Pitt e quella adolescente e scabrosa di Ben Foster, senza trasformare il proprio corpo nel simulacro di una vita votata all’illegalità del successo. Nessuna discesa infernale per il protagonista, solo tanta fortuna patinata.

Peccato perché questo poi ri riflette negativamente anche sui due villain della pellicola. Gary Oldman, potenziale Lucifero, non ci mette nulla ad essere convincente, ma la sua è solo una performance sindacale, svogliata. Merita di più Harrison Ford, più ambiguo e complesso – che abbia ucciso il figlio per commuovere l’opinione pubblica e guadagnarsi il titolo di guru dell’elettronica? Il dubbio resta. Il suo personaggio, grazie al look rasato e alla prova dimessa dell’attore, colpisce e avvince, ma la sceneggiatura non gli fa fare il salto di qualità.

Manca epica in questa caduta dei giganti. Non basta un rallenti a fare Peckinpah. Inoltre, se al posto di Amber Heard – indiscutibile corpo da reato – ci fosse stata Scarlett Johansson, il film si sarebbe giocato una carta in più. Forse sprecandola.

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