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Io sono Tony Scott, ovvero come l'Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz

Regia di Franco Maresco vedi scheda film

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La recensione su Io sono Tony Scott, ovvero come l'Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz

di tafo
8 stelle

La vita dell’auto proclamatosi più grande clarinettista jazz sembra rientrare nella massima di chi mette la musica prima di tutto e riesce a distruggere la sua immagine pubblica. La vita di Tony Scott siculo-americano che dall’America parte e alla Sicilia in qualche modo ritorna è la storia di un artista ma anche un documentario su una musica e su un paese. La musica è il jazz nelle sue evoluzioni, colonna sonora anti-crisi delle sale da ballo degli anni trenta, strumento di rabbia e orgoglio per gli afro-americani che oppongono dopo la seconda guerra mondiale la loro musica nera di cuore contro la musica bianca tutta tecnica e cervello. Il nostro si trova ad essere un bianco che vuole suonare con il cuore di un nero applicandosi ad uno strumento che faceva ballare i bianchi. Il paese è l’Italia incapace di stare ad ascoltare di accogliere e di valorizzare un artista capace di innovare l’uso del suo strumento, di stare accanto ai maggiori geni del novecento musicale, finendo per farlo diventare la parodia di se stesso. Tony accetterà di suonare dovunque e con chiunque al duplice scopo di mantenere gli obblighi economici e familiari e continuare ad incidere dischi. L’uomo che tra l’America e Mussolini (Romano) va in Asia a contaminare la sua musica e che viene torturato? Perché scambiato per una spia del suo paese, ha ormai perso i suoi amici-colleghi più cari( Charlie Parker, Billie Holiday ) ha dimostrato tutto con il clarinetto fino ad essere il precursore della New Age. Questo non basta , il senso di colpa di essere stato trattato meglio come bianco in una musica nera nel paese della sua ascesa, la discriminazione subita da un paese culturalmente arretrato fu alla fine anche cercata per poter dire di essere stato un nero in un paese di bianchi.

 

“ Da clarinettista in giacca e cravatta, quale era negli anni cinquanta e sessanta, ha compreso come non fosse più sufficiente l’abilità artistica, ma che bisognasse fare altro. E’ in Italia è diventato altro: un attore, un clown, un buffo. Ha fatto il personaggio per sopravvivere e per rimuovere, senza riuscirvi. Per me è stata una figura estremamente tragica e la tempo stesso comica, nel senso più drammatico del termine. Mi ha affascinato questo: la consapevolezza della fine. Il commiato dal mondo e da un certo tipo di civiltà è sempre stato d’altra parte il tema del lavoro di Ciprì e Maresco , da Cinico Tv in poi” ( Franco Maresco ).

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