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12 anni schiavo

Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film

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La recensione su 12 anni schiavo

di BarbaraMonti
8 stelle

È il 1841 e Solomon Northup è un acclamato violinista di colore, che conduce una vita agiata con la moglie e i due figli a Saratoga, nello stato di New York. Attraverso un abile inganno verrà rapito e venduto come schiavo. Affronterà per 12 lunghi anni atroci sofferenze fisiche e psicologiche, prima di poter riconquistare la libertà e ricongiungersi ai suoi cari.

Steve McQueen, al suo terzo lungometraggio, porta sullo schermo il romanzo autobiografico di Solomon Northup, 12 Years a Slave, pubblicato per la prima volta nel 1853 e troppo presto dimenticato. Ancora una volta, dopo Hunger, McQueen sceglie di raccontare le vicende di un uomo realmente esistito e, ancora una volta, lo fa egregiamente. 12 anni schiavo non si pone come scopo quello di dare una visione globale del fenomeno della schiavitù, ripercorrendone le tappe storiche. Nel film tutta l’attenzione è focalizzata sul protagonista, sulla sua storia e sulla sua sofferenza. Sofferenza che, come in ogni film di McQueen, trae le sue origini e la sua massima espressione dal corpo. Il corpo è, infatti, il vero perno del cinema del regista inglese, attraverso il quale si manifestano le emozioni, le ossessioni e il dolore dei protagonisti. Lo abbiamo visto in Hunger, nel corpo scarnificato fino allo stremo di Michael Fassbender, lo abbiamo visto in Shame, nel corpo scolpito e sesso-dipendente sempre di Fassbender, e lo vediamo in 12 anni schiavo, nelle terribile ferite che squarciano le schiene degli schiavi. Nel film si assiste al progressivo svilimento fisico e psicologico del protagonista, che da un giorno all’altro si vede portati via non solo la sua famiglia, ma anche la sua identità: non più un uomo libero di nome Solomon Northup, ma uno schiavo con un nome fasullo.

Lo sconforto di fronte all’impossibilità di opporsi alle continue crudeltà dei “padroni bianchi”, la sofferenza personale, ma allo stesso tempo condivisa, del protagonista e degli altri schiavi, vengono raccontati da McQueen con uno stile asciutto, che mai cede a facili sentimentalismi.

Con dei piani sequenza magistrali, spesso privi di dialoghi e accompagnati dalle musiche sublimi di Hans Zimmer, McQueen contrappone l’orrore e la violenza subiti dagli schiavi ai placidi paesaggi dai colori caldi della Louisiana. La potenza delle inquadrature è tale che basta un primo piano del protagonista, in silenzio e con gli occhi pieni di lacrime, a travolgere emotivamente lo spettatore.

Candidato a nove premi Oscar, tra cui miglior film, miglior regia e miglior attore protagonista, 12 anni schiavo vanta un cast di attori eccezionali. A partire da Chiwetel Ejiofor, nei panni del protagonista e perfetta incarnazione della sofferenza e dello strazio di Northup, e Lupita Nyong'o, schiava angariata più di tutte le altre, perché oggetto della brama del terribile schiavista interpretato da Michael Fassbender, qui alla sua terza collaborazione con il regista britannico. Fassbender regala un’altra eccellente performance, caratterizzando un personaggio la cui accecante ferocia è pari alla sua penosa codardia. Convincenti anche le interpretazioni di Benedict Cumberbatch, primo padrone di Northup, e di Sarah Paulson, la cui brutalità non è certo inferiore a quella del marito, il terribile schiavista Fassbender. Il personaggio meno riuscito è probabilmente quello di Brad Pitt, che risulta meno incisivo rispetto agli altri, seppur abbia un ruolo breve ma determinante ai fini della storia.

Una menzione speciale va anche ai costumi e alla scenografia, curati nei minimi dettagli e candidati a numerosi premi tra cui l’Oscar. Di questo film sono stati criticati il realismo e la crudezza di alcune scene, come se il regista avesse voluto indugiare eccessivamente sugli aspetti cruenti della storia per il gusto di farlo. In realtà, anche le sequenze più brutali non sono mai fini a sé stesse, bensì necessarie e funzionali al racconto, che McQueen ha voluto fosse il più fedele possibile al romanzo. Ciò che il regista desidera è metterci di fronte a uno dei più ignobili e rivoltanti abomini compiuti dall’essere umano, lo schiavismo, e sceglie di farlo in maniera non edulcorata. Perciò ogni bastonata, ogni colpo di frusta, arriva non solo sulle schiene dei poveri schiavi, ma anche sulle nostre, che ci troviamo obbligati a fare i conti non solo con la responsabilità di questa storia in particolare, ma più in generale con le vessazioni e gli abusi perpetrati tutt’ora a danno delle minoranze e dei “diversi”.

Del resto, come ha affermato lo stesso McQueen, “il mondo è ancora pieno di oppressi”.

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