Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
"La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare" - Jep Gambardella
È un film sul tempo e la nostalgia La grande bellezza di Sorrentino. Non solo sul piano della gloria storico-culturale, testimoniata dai bellissimi monumenti e palazzi dell'Urbe che, nonostante tutto, quasi faticano a tenere testa al degradante paesaggio antropologico della Roma moderna che sono costretti ad ospitare; la grande bellezza è ciò che il protagonista ha rincorso inconsciamente per tutta una vita, senza voler accettare il fatto che fosse morta proprio alla nascita: la grande bellezza è l'innocenza perduta dell'amore puro. Jep non ne è consapevole, si trasferisce nella Città eterna per diventare "il re dei mondani" così che il vuoto e la superficialità di quella che dovrebbe essere l'élite culturale del paese, simbolicamente rappresentata dal trenino di umani festaioli ("So' belli i trenini che facciamo alle nostre feste, so' i più belli di tutta Roma... So' belli. So' belli perché non vanno da nessuna parte"), lo rendano uno spettatore disilluso della vita.
Sorrentino ha realizzato il suo capolavoro, un film destinato a rimanere nella memoria collettiva per la sua capacità di raccontare il fallimento dell'uomo moderno nel suo ipocrita tentativo di mascherarlo. L'imponenza simbolica e iconografica di Roma, assieme allo stile registico sfarzoso dell'autore napoletano, costituiscono il perfetto sfondo per quella che è una sentenza sulla natura umana: le perversioni e l'inevitabile corruzione dell'anima, figlie della società dell'apparire e del buon costume in cui viviamo. In fondo, la vita è un incessante brusio di chiacchiere, interrotto da pochi fugaci sprazzi di bellezza. La nostra unica possibilità, secondo Sorrentino, è l'amarezza della nostalgia. Poesia.
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