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La grande bellezza

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su La grande bellezza

di maso
8 stelle

Se la bellezza capitolina da alla testa ad un giapponese fino a farlo collassare "La grande bellezza" di Sorrentino fa sputare veleno ai romani de Roma e ai felliniani di Fellona indignati dal paragone con quella dolce vita di cinquanta anni fa attualizzata e privata dalle note di Nino Rota ma arricchita con la gente che va a rota: de fveste, de piste, deposte le paste il più pulito c'ha la peste perchè in questo baccanale di intellettuali attempati semi falliti e semi fallati dal tempo stempiati c'è da fare il bello e il cattivo, tempo permettendo e quello a cui tale caratterizzazione riesce alla perfezione al per una volta pennone d'oro Jep Gambardella che dopo aver preso ripetizioni di vuoto esistenziale e dubbio sentimentale da Marcello Rubini ed aver scritto "L'apparato umano" destando consensi anche dagli occhi spenti e i pochi denti ingialliti di Madre Teresa di Calcutta ha preferito diventare il custode delle bellezze nascoste nei meandri di Roma dove domina il territorio dal suo loft terrazzatissimo con vista sul Colosseo.
Sorrentino parte con l’acceleratore pigiato e il volume sparato mettendo in mostra il suo stile italiano, personalmente pulp ma italiano, pUlpettone trash ma italiano, trascinante flash velato di un sottilissimo umorismo malsano ma italiano e continua a farsi ammirare perché fa il suo cinema contaminato ma sempre fortissimamente italiano, non USA la Francia con spada e con lancia per fare un agguato a sua maestà ma spara forte sulla generazione nata tra le macerie della guerra che ha ricostruito e si è ricostruita le tette, gonfiata le labbra con botulini e plastichette da 700 dollari l’uno e 1200 se de specialisti della siringhetta ne hai interpellati due, fra questo plotone di over sessanta si mescolano giovinetti nati sulle note di Venditti e i loro figli vulnerabili come conigli di cui ci vengono illustrate quattro forme differenti e traballanti: Andrea è ricco di tutto tranne che di un bagliore di luce che faccia chiarezza su cosa fare di una vita che stringe ai fianchi le meningi fino al pianto inaspettato di Jep che aveva giurato che tale sfogo non fosse consentito da chi è dentro dilaniato, l’aspirante veterinaria piccola bionda e già condannata dal padre stimato stimatore di stime ad essere artista iconoclasta tanto da non dover maneggiare un pennello ma esserlo lei stessa mentre ricoperta di mille colori non riesce a definirne uno fra smorfie di dolore e rantoli di ribellione e poi Ramona sagomata fra le curve potenti e le rughe nascenti di Sabrina Ferilli figlia di uno spogliarellista gestore cocainomane pentito ed eroinomane rinomato che non capisce come spenda il guadagno di quel corpo esposto AI Demoni Sporchi di sangue sporco che popolano questa Roma dall’aroma di mora ma anche di bionda come la bella Orietta con la scocca di una Ferrari, entrambe saranno incontrate da Jep nei suoi salti nella notte ma saranno due storie diverse all’insegna dell’è stato bello volersi bene una e del per mestiere faccio la ricca l’altra; Jep Servillo viaggia come un jet nel jet set di santa romana chiesa per sviscerare tutto e inquadrare con il suo occhio attento il tutto tutto ma le immagini ce le fornisce Sorrentino capace di far apparire come il cielo in una stanza un mare azzurro di quel giorno lontano che taglia in due la vita come un motoscafo lo schermo, capace di fissare nel tempo la sua opera firmandola con il relitto della Costa Concordia simbolo di una Italia che va a picco, gira una curva che sembra una puttana uscita dal film di Roma felLina di molti anni prima, ispeziona con la sua luce catacombe buie e dimore abitate da persone lontane da questa stanca Roma del ventunesimo secolo in cui hanno lasciato chiuse in cantina stanze preziose di millenari ricordi gli stessi dei coniugi Colonna decaduti nella marchetta di presenza al sangue blu, magicamente fa scomparire una giraffa semplicemente staccando da essa e attaccando un pezzo importante dei suoi frammenti nel quale un Verdone macchietta di Verdone ha perso tutte le speranze in quaranta anni di Roma deludente fra commedie sbiadite e compagnie e compagne la cui unica grande aspirazione è quella nasale di scie divergenti come le code di aerei lontani.
La lunga camminata di Jep Servillo tra le albe romane e le sue stelle cadenti con tante rughe sbattute in primo piano si conclude sul viso consumato ed ossessivamente inquadrato fino al raccapriccio delle palle visive della santa penitente costante che se interpellata ha sempre una risposta sul mistero della fede, magari non quella che ti aspettavi ma non si tira indietro con centoquattro anni sulla schiena a compiere il suo atto di penitenza trascinandosi in ginocchio per la lunga scalinata mentre chi indossa l’abito talare non voleva non può e non saprà mai dare risposte chiare perché non poteva non sa e non vorrà mai dare risposte chiare su un mistero oscuro come quello della fede continuando a surrogare la verità con ricette prelibate che saziano la fantasia degli intellettuali come Jep consapevole che risposte non ce ne sono ma forse proprio uno come lui potrebbe provare a darle o almeno suggerirle cercandole nella sua lunga militanza nella mondanità.
L’ottica di un romano de Roma che vive la città eterna eternamente immerso in essa ne ha ben donde nell’affossare la faretra svuotata da Sorrentino sul facile bersaglio del foro romano ma io sono un provinciale che conosce Roma più per il suo riflesso sul televisore e i suoi album fotografici raccontati sul grande schermo e non posso far altro che prendere per champagne colato questo carrozzone scolorito a cui ho da poco assistito.

Su Paolo Sorrentino

Sempre magica piena di trovate, la convention del folto cast dall'estetista sembra presa da un film surreale di Terry Gilliam.

Su Toni Servillo

In bilico fra il cinico e il malinconico fa come sempre un figurone confermandosi l'attore italiano di spicco di questa generazione.

Su Sabrina Ferilli

Sempre bellissima la Ferilli sembra un pò Giovanna Ralli in "C'eravamo tanto amati" con la sua commovente ingenuità infilata in una ciambella per non affogare non rivela il suo male e se ne va all'improvviso come succede nella realtà.

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