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Mood Indigo - La schiuma dei giorni

Regia di Michel Gondry vedi scheda film

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La recensione su Mood Indigo - La schiuma dei giorni

di ed wood
9 stelle

Il francese Gondry è uno dei pochi registi per cui l’aggettivo “geniale” non è affatto sprecato. Se solo non si fosse perso nel labirinto cerebrale di “Eternal Sunshine Of The Spotless Mind”, a mio parere uno dei grandi equivoci della critica anni Zero, un falso capolavoro dove i trucchi visivi e i contorsionismi dello script kaufmaniano si mangiano l’anima del film! Dopo alcune prove intriganti ma dispersive (“Be Kind Rewind”, “L’arte del sogno”), finalmente raggiunge la maturità espressiva con “Mood Indigo”, un’autentica meraviglia che non finisce mai di stupire per due ore di durata.

 

Ci si lascia travolgere dall’iper-concentrazione dell’intensissima e parossistica prima parte, per poi scivolare gradatamente verso una maggior rarefazione (che però non significa affatto calo di ispirazione o penuria di trovate) nella seconda, tragica parte. Ciò avviene in corrispondenza di una svolta drammatica, nel contesto di una trama semplice semplice: una storia d’amore funestata da una malattia incurabile. Il tono passa da scanzonato a inquieto, da malinconico a funereo. Non c’è solo il mutamento dei ritmi del montaggio e del dialogo a segnare, gradatamente, l’emergere del dramma; anche scenografia e fotografia si adeguano, diventando (sempre gradatamente) la prima sempre più orrifica, opprimente, ostile, la seconda sempre più sbiadita fino ad un cinereo bianco e nero.

 

Il film incrocia spavaldamente la commedia sentimentale, la screwball, il melò, il fantastico, l’animazione, persino il gotico nel finale,  oltre a vari elementi horror, servendosi di una impalcatura meta-testuale (una catena di montaggio di “operai della letteratura” che battono su una serie infinita di macchine da scrivere che vengono fatte scorrere davanti alle loro mani! …ed è solo uno dei colpi di genio del film…), una dimensione immaginifica che viene sporadicamente invasa da oggetti e personaggi della storia, creando uno spassoso ed irrazionale corto-circuito fra realtà (per modo di dire) e finzione. L’armamentario “plastico”, reale e virtuale, di cui dispone Gondry in questo film è potenzialmente illimitato: impossibile descrivere tutto ciò che vediamo in questa incredibile opera, da un topolino tutto-fare a una campanella-scarafaggio, da una automobile trasparente a fucili flessibili come sciabole! Fino a stanze che diventano rotonde al suono di un vecchio vinile…

 

C’era il rischio che tutto questo ben di Dio finisse per ingolfare il film, condannandolo ad una boriosa inutilità, come accade ad esempio a certi odiosi epigoni gondryani come “Mr Nobody” del belga Van Dormael o a certe cose discutibili di quello che, non certo per modalità espressive ma per spirito e toni, può definirsi il corrispettivo yankee di Gondry, ossia Wes Anderson, autore a mio parere piuttosto sopravvalutato. C’era insomma, per dirla in termini molto attuali, il rischio di una deriva neo-hipster, che è quanto di peggio ci si possa aspettare dal cinema d’autore attuale: filmetti vuoti ad uso e consumo di certi intellettualoidi viziati dei nostri tempi, capaci solo di esaltarsi per insignificanti fregnacce.

 

Chiusa questa parentesi sociologica, c’è da dire che tutto ciò non accade in questo film, per almeno un paio di motivi. Anzitutto, c’è rigore e coerenza nell’inventiva gondryana, che non è un incontrollato flusso di trovate bizzarre, ma l’allestimento di un fanta-universo caratterizzato dall’elemento vintage applicato ad una tecnologia avveniristica: gli eroi gondryani (e l’ambiente circostante, che influenzano e da cui si lasciano influenzare, secondo una concezione organica del “tutto” animato e inanimato) sventrano le barriere della fisica e della logica, grazie ad una tecnologia che rende tutto realizzabile pur scaturendo da oggetti retrò. L’altro motivo di grandezza di “Mood Indigo” sta nel fatto che Gondry non propone un mondo spensierato, artefatto, lontano dalla realtà e dai suoi affanni, anzi: problemi economici, angoscia, malattia, morte si fanno via via sempre più incalzanti e, come detto, contribuiscono a modificare non solo esteticamente ma anche organicamente il mondo rappresentato. Registicamente Gondry è in stato di grazia per come riesce sempre a dosare i toni, mai troppo seri e mai troppo “cazzari”, come dimostra anche la sequenza del funerale “povero”, in cui mixa inusitatamente black humour e profonda amarezza.

 

In definitiva, “Mood Indigo” racchiude l’essenza più anarcoide e creativa del cinema francese di tutti i tempi, dai trucchi di Melies al dadaismo di Clair, dall’anarchismo di Vigo e Renoir all’euforia (sempre tinta di funereo romanticismo) dell'indimenticato Truffaut.

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