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Treno di notte per Lisbona

Regia di Bille August vedi scheda film

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La recensione su Treno di notte per Lisbona

di supadany
4 stelle

Un romanzo best-seller (in Germania) con uno sguardo alla (dura) Storia (del Portogallo sotto la dittatura di Salazar) oltre che ai singoli ed un cast internazionale di spessore, rappresenterebbero un invitante biglietto da visita, ma poi ecco il nome di Bille August in regia (che negli anni di occasioni non sfruttate ne vanta diverse) e qualche certezza vacilla.

Purtroppo a lui (ma non solo) vanno ascritte varie pecche, nonostante ci siano passaggi in grado di lasciare il segno.

Dopo un incontro misterioso, il professore Raimund Gregorius (Jeremy Irons) si ritrova tra le mani un libro di uno scrittore portoghese, un testo talmente interessante che lo spinge a lasciare tutto e dirigersi a Lisbona per cercare il suo autore.

Da qui parte una ricerca che lo porterà ad affrontare un viaggio a ritroso nel sanguinoso passato portoghese.

 

Jeremy Irons

Treno di notte per Lisbona (2013): Jeremy Irons

 

Uno strazio programmatico.

Può sembrare una frase fatta, ma all’operato di Bille August si presta bene anche perché la storia in oggetto non manca affatto di potenziale, anzi si recepisce apertamente essere di ampio respiro, ma poi il desiderata del regista rimane legato alla sua principale matrice di fabbrica, ovvero una mano pesante che non riesce a coltivare il materiale che plasma.

Si presentano difficoltà di aderenza ed anche descrittive (spiegare certe scelte di Raimund sarà anche complicato, ma ciò che si vede lascia più volte esterefatti), si ricerca troppe volte la scena topica, rendendo così il viaggio del protagonista ampolloso, in più le frasi fatte inserite nei momenti più disparati non sono di gran supporto.

Giocoforza in questo contesto anche Jeremy Irons vacilla tra le onde emotive (tutte da captare), qualche sprazzo positivo arriva invece da Melanie Laurent e Jack Huston, ma sono brevi lampi di luce.

Per tutto questo, il doppio canale “il ritorno alla vita di un uomo stanco” e “la memoria storica collettiva”, due strade interessanti, finisce impastato senza gloria, un autentico dispiacere perché se sul primo aspetto, molto ambizioso, qualche cedimento è perdonabile (anche se poi si va, ahinoi, oltre), sul secondo non si rende piena giustizia al dolore anche se è intrinseco alla sua natura che in qualche modo colpisca (per la violenza della repressione e per la voglia di ribellione).

Inspiegabile.

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